Bomba a San Pietroburgo e sulle presidenziali russe

Bomba a San Pietroburgo e sulle presidenziali russe

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Secondo Mosca, sarebbero 4-5mila i foreign fighters dell’Isis in transito nel paese

MOSCA. Ieri a San Pietroburgo poco prima delle 17 locali, una forte esplosione ha squassato il supermercato Perekrestock che si affaccia sulla centrale piazza Kalinin. L’arrivo in forze, subito dopo, degli agenti dei servizi della Fsb (ex Kgb) ha confermato che si fosse trattato di un attentato terroristico.

Nove persone sono state trasportate in ospedale e una versa in gravissime condizioni. Secondo quanto riporta l’agenzia di stampa sanpietroburghese Fontanka, «la bomba confezionata con circa 200 grammi di tritolo era stata abbandonata in una cassetta del deposito degli oggetti personali del supermercato, a quell’ora pieno di clienti alle prese con le spese per il tradizionale cenone di capodanno».

Secondo gli esperti della polizia scientifica, scrive l’agenzia Interfax, si sarebbe trattato di un ordigno rudimentale, confezionato però da mani esperte.

Già lo scorso 2 aprile l’ex capitale russa, città natale del presidente Vladimir Putin, era stata colpita da un attentato compiuto da un giovane terrorista islamico di origine kirghiza che aveva provocato dieci vittime e novanta feriti.

Per gli inquirenti è troppo presto per sbilanciarsi e ogni formulazione di ipotesi resta prematura, anche se le piste che conducono verso il terrorismo islamico del nord del Caucaso e quello centro-asiatico – per tecnica e metodo – restano in pole position.

Da tempo i servizi di sicurezza russi hanno alzato l’asticella del livello di attenzione, soprattutto nelle grandi città europee del paese. Due settimane fa, appena fuori Mosca, era stato individuato un gruppo di fuoco di origine uzbekistana che all’interno di una casa popolare aveva creato una vera propria Santa Barbara con chili di esplosivo e si preparava a realizzare un attentato nella metropolitana della capitale.

L’imminente campagna elettorale e i campionati mondiali di calcio della prossima estate – sostengono i funzionari del Fsb – rendono appetibile la Russia per ogni tipo di provocazione e di crimine.

La nuova manovalanza del terrore del resto non è mai stata così abbondante. Da quando l’esercito dello Stato Islamico ha iniziato a decomporsi in Siria e in Iraq molti foreign fighters ceceni, daghestani e centroasiatici, che avevano servito lo Stato Islamico, hanno preso la strada del ritorno verso le terre di origine.

E regolarmente, ormai da qualche mese, ai confini meridionali della Russia si ripetono scontri a fuoco tra gruppi di guerriglieri islamici e reparti dell’esercito russo. Secondo le stime del ministero della difesa russo, sarebbero almeno 4mila-5mila gli sbandati dell’Isis originari di qualche repubblica ex-sovietica che sarebbero in transito in Russia o che qui si vorrebbero installare per proseguire la loro «guerra santa».

Come da copione, non sono mancati anche gli avvoltoi politici. Il candidato al Cremlino della destra razzista e xenofoba, Vladimir Zirinovsky, ha subito emesso una dichiarazione in cui chiede la reintroduzione della pena di morte in Russia dopo che Putin ha già da qualche anno imposto la moratoria della pene capitale nel paese. Sono comunque in molti a ritenere che la sola arma della repressione e del lavoro di intelligence non possano risolvere da sole il problema.

Secondo il rappresentante dei diritti umani dei musulmani a Mosca, Valery Ivanov, «i foreign fighers possono trovare sostegno e basi di appoggio nelle grandi megalopoli russe facendo leva sulla frustrazione di molti migranti centroasiatici posti ai margini della società russa».

Per Valery Ivanov «solo un’opera di integrazione sociale e di sostegno delle realtà musulmane moderate» possono impedire il radicamento del terrorismo fondamentalista nel paese.

La Russia oggi è considerato forse il nemico più acerrimo dei gruppi del fondamentalismo mediorientale da quando, grazie ai successi militari ottenuti in Siria, ha iniziato a sviluppare rapporti commerciali e politici con molti Stati della regione e porta avanti operazioni militari ampie e radicate contro il jihadismo.

FONTE: Yurii Colombo, IL MANIFESTO



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