Missioni italiane. Da una guerra «umanitaria» all’altra
Da una guerra «umanitaria» all’altra. La scia nefasta non si ferma. Nemmeno a Natale, nemmeno per le feste. Così il presidente del Consiglio Gentiloni, ex pacifista – insieme all’altra ex pacifista, la ministra della difesa Pinotti – proprio dal ponte di una nave militare ha annunciato l’ennesimo intervento militare mascherato da soccorso umanitario. Dove? Siccome abbiamo sconfitto il jihadismo dell’Isis a Mosul, sposteremo quelle truppe nell’Africa sub-sahariana, per fermare «i flussi dei migranti e il terrorismo». A Mosul i bersaglieri ufficialmente proteggevano la diga di Mosul e gli investimenti lì dell’impresa italiana del gruppo Trevi (famosa per i recenti crolli in borsa). A Mosul l’estremismo jihadista, la cui origine deriva dalla distruzione dello Stato iracheno per effetto di tre guerre occidentali – del terrore provocato da queste guerre si preferisce tacere -, lascia sul campo il corpo dilaniato dell’Iraq in un conflitto intestino che ancora brucia.
La frontiera del sud-Sahara è lunga più di 5mila chilometri, più che impossibili da controllare, più che permeabili alle fughe dei disperati dall’Africa in generale e dal Sahel in particolare; da quell’Africa dove divampano 35 guerre e dove il nostro modello di rapina depreda le risorse e per farlo unge le corrotte leadership locali (dalla Nigeria al Niger, dal Mali al Ciad al Burkina Faso, ecc.).
In questa situazione il governo che si avvia a chiudere i battenti, dentro una legislatura finita, annuncia l’invio di centinaia di soldati italiani, facendo perfino trapelare la possibilità – e sarebbe la vergogna delle vergogne – che sulla missione, della quale non sappiamo nemmeno il costo e chi la pagherà, si voti subito. Insomma, no allo ius soli ma sì ad una nuova avventura militare africana.
Come se quella in Libia del 2011 non si fosse dimostrata insieme fallimentare e generatrice del disastro che ne è seguito e del quale vediamo le conseguenze ogni giorno, nelle morti a mare e nelle guerre mediorientali che non finiscono. Dobbiamo però stare tranquilli dicono i generali che già prendono armi e parole: sarà una missione «no combat». Ma che senso hanno regole d’ingaggio affidate alla televisione e che presentano i militari italiani come «addestratori», quando in loco – in Niger – invece già si combatte duramente e da tempo, come dimostra la recente uccisione proprio in Niger – con tanto di polemica tra le famiglie delle vittime e uno sprezzante Donald Trump – di quattro marines delle forze speciali Usa?
Naturalmente «addestrarli» – facendo un favore al neocolonialismo francese di Macron che in Niger è di casa – vuol dire «aiutarli a casa loro», aiutarli a rinfocolare la guerra che alimenta il circolo vizioso delle stragi, delle fughe e dei profughi. Per le quali c’è una svolta: una sorta di Concordato sulle migrazioni.
È stato in questi giorni l’altro campione governativo, il coloniale Minniti che ha ricevuto, insieme al benedicente cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) l’arrivo di 162 migranti salvati con un corridoio umanitario «legale» dai centri di detenzione in Libia, indicando anche che potrebbero essere 10mila i migranti che potranno arrivare in Europa regolarmente dai campi e dalle carceri libiche, con la garanzia dell’Unhcr, che verificherà in Libia chi ha diritto alla condizione di rifugiato e chi no, e della Conferenza episcopale italiana; e poi, secondo gli obiettivi attribuiti all’Organizzazione mondiale dei migranti (Oim), dovrebbero essere invece 30mila i migranti giudicati senza diritto d’asilo, che dovranno tornare a casa con rimpatri «volontari».
Onestamente, siamo davvero contenti per i primi arrivati, i 162 liberati dalle condizioni di detenzione in Libia, e davvero felici per l’annuncio dei, forse, 10mila nel 2018 – meno invece per i 30mila già previsti come «ricacciati» a casa. Ma perché intanto il governo italiano ha contribuito a chiudere la rotta del Mediterraneo intrappolando in Libia da 700mila a un milione di persone – dalle stime della stessa Onu?
Perché, per un esodo che è epocale, abbiamo criminalizzato le Ong che soccorrono sulle coste libiche i migranti? Perché li abbiamo consegnati al controllo delle cosiddette autorità libiche, le stesse che dovrebbero garantire la svolta natalizia-concordataria di Minniti, e che invece continuano a non controllare alcunché, in un Paese in guerra e in mano a centinaia di milizie che volta a volta si chiamano esercito governativo o guardia costiera, ognuna delle quali gestisce centri di detenzione e di tortura fin qui per conto nostro?
Di quell’Italia ormai capofila, con il Codice Minniti, dell’Unione europea sui migranti, mentre i Paesi europei a ovest si aprono a parole e a Est si chiudono minacciosi e razzisti con i muri, rifiutando perfino la misera ripartizione di un’accoglienza che invece dovrebbe essere epocale. Mentre scriviamo è stato salvato nella notte un barcone con 250 migranti, ma si teme per la sorte di altre due imbarcazioni di fortuna per ora pericolosamente disperse tra Libia e Canale di Sicilia.
Francamente, gli annunci del trio Gentiloni-Minniti-Pinotti risultano angusti e oscuri anche da un punto di vista elettorale. Così accontentiamoci del solo principio che avanza, anche quello fortunato per chi capita. È il principio della lotteria. Come per il migrante numero centomila sbarcato a Lampedusa prima dell’estate: grazie alla nascita miracolosa della piccola Miracle, avrà l’atto di nascita della figlia e quindi forse la possibilità di ottenere il diritto d’asilo.
FONTE: Tommaso Di Francesco, IL MANIFESTO
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