Dopo le denunce sull’orrore libico, per Tripoli e Minniti va tutto bene
«Il rapporto di Amnesty International è molto esagerato» così il ministro degli Esteri libico Mohamed Taher Siala, ieri a Mosca, ha liquidato la denuncia dell’Ong che martedì aveva accusato: «I governi europei, e in particolare l’Italia, sono complici delle torture e degli abusi sui migranti detenuti dalle autorità libiche». Amnesty ha anche spiegato che, in base alle testimonianze raccolte, l’Ue e, soprattutto, il nostro paese stanno sostenendo un sofisticato sistema di sfruttamento dei migranti da parte della Guardia costiera libica, delle autorità addette ai detenuti e dei trafficanti. «La situazione dell’immigrazione in Libia è molto complicata – ha ammesso Siala – ma siamo soddisfatti dell’aiuto che stiamo ricevendo dall’Italia per migliorare le condizioni nei campi di detenzione e per l’addestramento della Guardia costiera».
Secondo il ministro basta solo organizzarsi meglio: «Ci sono molti criminali e trafficanti, ma è il risultato del vuoto di sicurezza che c’è in Libia. La lotta all’immigrazione clandestina deve iniziare dal confine meridionale: serve una rete di controllo elettronica e la cooperazione dei paesi africani. A sud abbiamo un confine lungo 4mila chilometri mentre la costa è lunga 2mila, per pattugliare le frontiere servirebbe l’esercito cinese». Siala aggiorna anche la conta dei reclusi nei centri controllati da Tripoli: in 42 campi ci sarebbero 31mila persone. L’Onu a novembre aveva denunciato il patto tra Ue e Libia come «disumano»: «La sofferenza dei detenuti nei campi è un insulto alla coscienza dell’umanità» aveva dichiarato l’Alto commissario per i diritti umani. A Tripoli però sono sereni: «Noi garantiamo cibo e assistenza sanitaria – ha spiegato il ministro – ma i numeri stanno aumentando e senza l’aiuto dell’Unione Araba non ce la faremo. Non abbiamo intenzione di aprire altri campi. Per quanto riguarda le voci di sfruttamento di esseri umani, dell’uso della schiavitù, c’è una commissione al lavoro: è contro la nostra religione, se emergeranno dei responsabili saranno puniti secondo le nostre leggi».
La soluzione per Siala passa dai rimpatri: «La Libia non può diventare un grande campo per immigrati clandestini: se possono ottenere asilo o un lavoro che vadano in Europa, alcuni di loro possono restare, altri dovranno tornare a casa. I paesi europei convincano i governi africani a riaccogliere gli immigrati che devono rimpatriare». Siala ha poi rivelato l’intenzione di Tripoli di chiedere all’Onu un’attenuazione delle sanzioni utilizzando proprio il ruolo di custodi dei confini: «Il governo di accordo nazionale libico mira ad ottenere eccezioni alle sanzioni militari in corso. Non per avviare una qualche guerra civile, ma per incrementare le capacità dei corpi di contrasto alla migrazione illegale e al terrorismo. I trafficanti sono meglio equipaggiati della nostra Guardia costiera. Abbiamo l’aiuto di Regno Unito, Germania e Italia ma abbiamo bisogno di incrementarne le capacità».
Il regista degli accordi che hanno posto al centro delle operazioni di Ricerca e soccorso nel Mediterraneo la Guardia costiera libica, marginalizzando le Ong, è il ministro Marco Minniti. Ieri, dopo le accuse di Amnesty, ha fatto una prima timida concessione: «Forse sarò troppo convinto di me stesso, ma penso di aver messo in campo una visione delle questioni che riguardano l’emergenza migranti. Può essere sbagliata, può essere criticata ma, se non piace, deve essercene un’altra contrapposta e non un approccio mordi e fuggi, perché non risolverebbe il problema». Anche Minniti tocca il tema terrorismo con i foreign fighters: «Stanno tornando a casa, le vie che possono utilizzare sono le rotte dei migranti. Potrebbero essere 25, 30mila». Il viceministro agli Affari esteri, Mario Giro, ha spiegato: «Accettiamo la denuncia, ma il nostro impegno e la nostra strategia in Libia non cambiano. Abbiamo mandato le Ong a totale garanzia». E sui rimpatri: «Al meeting di Abidjian mi ha colpito la manifestazione che si è svolta allo stadio. Grandi personaggi, come l’ex stella del calcio Didier Drogba, hanno urlato forte il nome della campagna ’Chi parte è ingenuo’. Non c’è alcun paradiso al di là del Mediterraneo».
FONTE: Adriana Pollice, IL MANIFESTO
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