Ieri il presidente americano Trump ha sfilato gli Stati Uniti dal patto Onu (non vincolante) “Global Compact”, un’intesa raggiunta nel 2016 (il testo finale entro il 2018) che presuppone l’impegno collettivo di proteggere e regolare di flusso di migranti nel mondo. Trump ha spesso criticato accordi e istituzioni internazionali: con lui gli Usa sono usciti dall’accordo sul clima “Cop21”, da quello commerciale asiatico “Tpp”, dall’Unesco “perché anti-israeliana” e hanno spesso criticato gli alleati della Nato “perché spendono poco”
new york America First è sempre più spesso sinonimo di America Alone. Da sola, sovranista, fuori dalle concertazioni internazionali, la nazione di Donald Trump ora esce anche dal patto Onu sui migranti. Che pure era stato sostenuto fortemente da Barack Obama per coordinare le politiche di accoglienza e puntare verso una gestione ordinata dei flussi migratori. L’uscita da quell’accordo è l’ultimo gesto di una lunga serie da parte di quest’Amministrazione che “ disfa” sistematicamente tutto ciò che aveva fatto quella precedente: nella sterzata a 180 gradi rientrano l’abbandono del trattato di libero scambio con l’Asia- Pacifico ( Tpp), la denuncia degli accordi di Parigi sul cambiamento climatico, l’uscita dall’Unesco “ perché anti- israeliana”, nonché i tagli pesanti ai contributi Usa all’Onu, comprese diverse missioni peace- keeping.
È dunque con rammarico ma senza sorpresa, che nella serata di sabato al Palazzo di Vetro hanno letto questo annuncio della rappresentanza Usa: «Il Global Compact sulle migrazioni è incompatibile con le politiche di questa Amministrazione su immigrati e rifugiati, è in contraddizione coi principi di Donald Trump sull’immigrazione. Pertanto gli Stati Uniti mettono fine alla loro partecipazione». Poco dopo è arrivata la dichiarazione dell’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, che aggiunge questa giustificazione molto esplicita: « Le nostre decisioni sull’immigrazione devono essere sempre prese dagli americani e nell’interesse degli americani. Quel patto non è coerente con la nostra sovranità».
Il patto promosso dall’Onu era stato lanciato nel corso del summit straordinario su migranti e rifugiati del settembre 2016. Prevede un impegno internazionale per «una migrazione sicura, ordinata e regolare » , con un programma che deve essere definito entro il 2018. Tra le premesse del documento preparatorio veniva sottolineato che in situazioni di viaggi lunghi, costellati di abusi e violenze risulta difficile una distinzione netta tra rifugiati e migranti economici. Questo è un approccio che l’Amministrazione Trump non condivide. Tra i paesi più interessati a sostenere il Global Compact c’è invece l’Italia. Nel luglio scorso, al G20 di Amburgo, il premier italiano Paolo Gentiloni lo aveva appoggiato, sottolineando l’importanza di «investire in Africa per lo sviluppo e contro le conseguenze del cambiamento climatico, stabilizzare la Libia, combattere i trafficanti».
L’annuncio arriva alla vigilia del vertice mondiale che si terrà dal 4 al 6 dicembre a Puerto Vallarta, in Messico. L’Onu ha subito espresso « rammarico » per la decisione. Il presidente dell’Assemblea generale Onu, Miroslav Lajcak, ha sottolineato che le Nazioni Unite non dovrebbero perdere questa occasione «per migliorare le vite di milioni di persone nel mondo. La migrazione è un fenomeno globale che richiede risposte globali e il multilateralismo resta la strada migliore per affrontare le sfide globali».
L’uscita dall’accordo Onu è uno di questi gesti simbolici che piacciono a Trump, l’effetto- annuncio è assicurato: poche le conseguenze pratiche. Sul fronte delle politiche migratorie che contano, questa decisione s’inserisce in una fase di stallo per l’Amministrazione Usa. I suoi tentativi più significativi di modificare le regole americane sono stati i ripetuti Muslim Ban, modificati fino all’ultima versione in cui i divieti d’ingresso hanno incluso due paesi non musulmani ( Venezuela e Corea del Nord) per aggirare le obiezioni d’incostituzionalità legate al criterio religioso che avevano provocato bocciature di quei decreti da parte della magistratura.
«L’anniversario della Nakba e la lotta dei nostri detenuti nelle carceri israeliane avevano posto le basi per una strategia nazionale ma (i partiti Fatah e Hamas) non hanno colto questa importante opportunità ».
Col tempo ci si adatta al colpo di stato e, segno evidente di apparente normalizzazione, il Paese bruscamente scompare dalle prime pagine delle notizie di agenzia