Naziskin a Como: “Il nostro silenzio pacifista ha disinnescato i neofascisti”

Naziskin a Como: “Il nostro silenzio pacifista ha disinnescato i neofascisti”

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COMO. Dice che trovarsi circondati da un «gruppo paramilitare» mentre ti stai organizzando per portare delle taniche di acqua potabile a dei migranti che dormono da mesi sotto un portico in mezzo ai gas di scarico di un autosilo, «non è bello». «Io ero fisso sul testo del volantino – sospira -. Seguivo la lettura. Aspettavo solo che finissero e se ne andassero».

Padre Luigi Consonni è un missionario comboniano: lecchese, 74 anni, 30 trascorsi in America Latina (Brasile, Perù). È uno dei quindici volontari di Como Senza Frontiere che martedì nella sala sartoria del Chiostrino di Santa Eufemia si sono trovati faccia a faccia con il branco neofascista di Veneto Fronte Skinhead. In un frammento del video lo si vede lì, seduto: barba e capelli grigi, occhiali, il comunicato dei naziskin tra le mani. La prima cosa che ti viene da chiedergli è se ha avuto paura. La risposta è spiazzante, o forse no. «Per niente. Solo tanto stupore.

Certo: non è che sia stata una passeggiata di salute. Ma mi sono trovato in situazioni ben più complicate. Assalti armati, tentativi di sequestro: cose frequenti, in Sud America». Qui c’è una squadraccia di 13 teste rasate che fa irruzione in un centro culturale e impone ai padroni di casa l’ascolto di un messaggio delirante e pieno di odio verso i migranti. «Hanno affermato con la prepotenza la loro visione. Che è esattamente l’opposto della mia», ragiona padre Consonni. «La cosa inaccettabile è la totale mancanza di rispetto con cui hanno agito». Da notare: ogni notte a Como Consonni ospita, in un centro Caritas che confina con la Casa dei comboniani, dove abita lui, 25 migranti. Altri otto sono fissi. “Basta invasione!”, recita il volantino del VFS. «Ma come fai a non aiutare della gente disperata? Al di là della fede, al di là della politica. Possiamo fregarcene di gente bisognosa di aiuto?».

L’avrebbe mai detto ai naziskin?

«Non avrebbe avuto senso. Non c’era dialogo. Non erano interessati loro. E non eravamo interessati noi», dice il missionario. Ma torniamo all’impatto emotivo del blitz.

«Credo che ognuno di noi (i volontari di Como Senza Frontiere, ndr), per la propria esperienza sappia gestire anche situazioni conflittuali. Infatti abbiamo tenuto tutti lo stesso atteggiamento». Già. Una calma olimpica. Una serenità non esibita. Evidentemente profonda. «Io, più che di fronte, ce li avevo di spalle».

C’è anche chi i naziskin li vedeva attraverso la fotocamera del cellulare. Perchè ha filmato la scena. Lui: Giampaolo Rosso. Un omone di 63 anni, pacifista militante, insegnante di scienze, in pensione da un anno. Oggi è vicepresidente dell’Arci comasca e dirige la testata “Ecoinformazioni”. Dice: «Alla fine è come se fossimo riusciti a disinnescarli. Con il silenzio.

Mostrandogli una totale alterità rispetto a quello che stavano facendo. Nel video si vede.

Dall’espressione delle nostre facce. Le guardi bene, sembrano dire: “ma che cosa state dicendo?”». Anche Rosso ha il suo bel bagaglio: una formazione “sul campo”.

«Quindici anni fa ho partecipato a Action for Peace in Palestina. Il nostro compito era l’interposizione tra l’esercito israeliano e i manifestanti palestinesi. Lì ho imparato a non cedere alle provocazioni, a fare da cuscinetto alla violenza».

Così hanno fatto martedì sera i 15 di Como Senza Frontiere. Ieri il centro del Chiostrino è rimasto chiuso. Ognuno ha portato avanti la propria attività: la prossima riunione è fissata per la settimana prossima. «Non credo torneranno», sorride padre Consonni.

Fonte: PAOLO BERIZZI, LA REPUBBLICA



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