Oggi e domani in Vaticano: «Bandiamo le atomiche dall’universo»
Inizia oggi in Vaticano la Conferenza internazionale sul disarmo nucleare – presenti 11 Premi Nobel e la rappresentante Onu per il Disarmo – voluta da Papa Francesco come confronto della società civile internazionale che lavora sotto il coordinamento della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Ican) insignita del Nobel per la Pace 2017. Abbiamo intervistato Susi Snyder, presidente di Ican che interverrà sabato al Simposio.
La Conferenza può aiutare il Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari a diventare davvero «universale»?
La conferenza che parte oggi è un ottimo modo per dare seguito ai negoziati e al successo dell’adozione del testo di Trattato sulle armi nucleari. Il messaggio del Papa all’inizio dei negoziati e il ruolo costruttivo tenuto dalla Santa Sede in tutto il processo sono stati davvero importanti. Non possiamo dimenticare il messaggio che è stato inviato alla Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari del 2014 a Vienna: l’occasione principale in cui la deterrenza nucleare è stata descritta con precisione come un problema ed un rischio per l’umanità. È stato molto positivo che il Vaticano sia stato uno dei primi Stati a firmare e anche ratificare il Trattato, lo scorso 20 settembre. Ciò potrà dare autorità e sostegno ai rappresentanti delle Chiese in tutto il mondo per avere il coraggio di chiedere anche ad altri Paesi di rifiutare le armi nucleari andando a firmare e ratificare il Trattato con urgenza.
Il pieno ripudio morale delle armi nucleari continua ad essere centrale come guida sulla strada di una vera evoluzione positiva della civiltà. L’uccisione indiscriminata di civili, in varie generazioni, non è qualcosa di nemmeno lontanamente accettabile. La Conferenza in Vaticano ci ricorda che non stiamo parlando solo di un processo politico, ma anche sociale e di civiltà.
Crede che il Trattato contro le armi nucleari entrerà in vigore presto? E cosa pensate delle nazioni nucleari: firmeranno prima o poi o il Trattato sarà solo usato come “spinta” per altri processi di disarmo?
Sappiamo bene che ci vorrà tempo affinché i vari Stati possano compiere i vari passaggi del processo di ratifica, e quindi la previsione è che ci vorrà più o meno lo stesso tempo già necessario per la Convenzione sulle Mine e cioè un paio di anni. Intanto sta già cambiando il modo in cui si parla delle armi nucleari, forzando i governi che non vogliono il disarmo a stare sulla difensiva e a dover giustificare le loro posizioni.
E siccome qualsiasi uso delle testate nucleari andrebbe a configurare una violazione della legislazione di guerra, è molto difficile riuscirlo a fare in modo davvero convincente. Spero davvero che gli Stati nucleari arrivino a firmare, perché il Trattato ci offre un chiaro e concreto percorso verso quel disarmo che loro stessi continuano a richiamare come obiettivo condiviso.
Cosa ci può dire sulla Nato e gli accordi di “nuclear sharing” per cui alcune armi nucleari statunitensi sono dispiegate in altri Paesi? Lei vive nei Paesi Bassi, con l’Italia uno dei paesi che accolgono decine di testate Usa; che tipo di agibilità possono avere in percorsi di disarmo nucleare? La sensazione è che siano bloccate dalla loro adesione all’Alleanza Atlantica e che le testate in Europa siano un pericolo in termini strategici, politici, di sicurezza.
Le armi nucleari sparse in Europa (in particolare in Italia, Germania, Paesi Bassi e Belgio) sono in fase di modernizzazione: si stanno pensando nuovi disegni e nuove capacità per tali testate, e ciò le renderà ancora più pericolose di quanto non siano già ora. Le basi in cui sono ospitate stanno già subendo aggiornamenti dei processi di sicurezza molto costosi perché almeno dal 2006 gli Stati Uniti hanno iniziato a temere rischi realistici di intrusione e sabotaggio. Alcuni attivisti ci sono riusciti, per azioni dimostrative, in Belgio e il recente tentativo di colpo di Stato in Turchia è addirittura stato lanciato dalla base di Incirlik in cui le atomiche americane sono ospitate. È un pericolo per tutti noi.
Nello stesso tempo non sarebbe però così difficile per i Paesi Nato aderire al Trattato. Sicuramente significherebbe modificare i propri accordi con gli Usa (ma in passato Grecia e Canada lo hanno già fatto!) e liberarsi degli ordigni sui propri territori. Ciò non significa automaticamente un abbandono della Nato, ma solo escludersi dalla pianificazione nucleare dell’Alleanza, cosa che già succede per diversi membri.
È importante ricordare che ci sono già Paesi dell’Alleanza Atlantica con politiche nazionali che, sul tema nucleare, sono molto in linea con le prescrizioni del Trattato. Per cui questa appartenenza non può essere assolutamente utilizzata come scusa per escludersi dal percorso, nemmeno dall’Italia. Che invece potrebbe fin da ora intraprendere alcuni passi positivi ascoltando quello che le chiedono le organizzazioni della società civile italiana che lavorano per il disarmo nucleare, come Senzatomica e la Rete Italiana per il Disarmo tra i membri della nostra campagna Ican.
FONTE: Francesco Vignarca, IL MANIFESTO
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