by Ester Nemo | 23 Novembre 2017 11:32
La sentenza divide la Bosnia Erzegovina
Condanna all’ergastolo per l’ex comandante dell’esercito serbo bosniaco, colpevole di genocidio e complicità in genocidio per i fatti di Srebrenica, crimini contro l’umanità, deportazione, persecuzione. È la sentenza di primo grado pronunciata ieri dalla Corte del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja (Tpi) presieduta dal giudice Alphons Orie.
IL PROCESSO è iniziato il 16 maggio 2012 è durato 530 giorni nei quali hanno testimoniato 591 persone e sono state prodotte 11.000 prove documentali. Dopo la lunga lettura dei capi d’accusa – dettagliata rispetto ai luoghi bosniaci – il presidente della Corte Aphons Orie, con impassibilità, ha letto la sentenza. Mentre Ratko Mladic dava in escandescenze, gridava al processo politico, gridava «bugiardi» ai giudici, diceva di sentirsi male. E veniva allontanato.
Cosí si è concluso il più atteso processo al Tpi per le guerre etniche e fratricide che portarono alla fine dell’a Federazione jugoslavia. A fine anno il Tribunale ad hoc – accusato da molti esperti di diritto internazionale di essere il «tribunale dei vincitori» – si autoscioglierà. E lascia emettendo una sentenza che approfondisce le divisioni nell’ex Jugoslavia, a partire da quelle più persistenti in Bosnia Erzegovina (e in Serbia per il Kosovo autoproclamatosi indipendente). Per i bosniaci musulmani e croati Mladic è un mostro, per i serbi di Bosnia, come ha detto il loro leader, Milorad Dodik – che pure a suo tempo cacciò dalla presidenza serbobosniaca Karadzic – antagonista del presidente della Serbia Aleksandar Vucic – ex nazionalista e ora obtorto collo filo-europeo – «il generale resterà sempre il nostro eroe, come un de Gaulle».
E SECONDO il responsabile Diritti umani dell’Onu Zeid Raad al-Husseinssein, «Mladic è l’incarnazione del Male ma non è sfuggito alla giustizia». Questo processo e questa sentenza, aveva continuato ammonendo il giudice Orie, «sono un avvertimento che chi perpetra simili crimini non sfuggirà alla giustizia, non importa quanto possano essere potenti o protetti, non importa quanto il procedimento legale potrà durare».
RATKO MLADIC è nato nel 1942 a Kalinovik, in Bosnia Erzegovina, e sulla sua autobiografia pesa l’uccisione del padre da parte dei fascisti ustascia croati. Militare di carriera nell’esercito popolare jugoslavo (Jna), nel maggio 1992, un mese dopo l’inizio della guerra in Bosnia, venne nominato comandante di stato maggiore dell’esercito serbo bosniaco, carica che ha mantenuto durante tutta la guerra.
Il primo mandato contro di lui del Tpi dell’Aja è del 25 luglio 1995; un secondo, sui fatti di Srebrenica, è del novembre 1995. I due mandati sono stati poi riuniti in un unico atto d’accusa nel luglio del ’96, poi emendato per lasciare solo le accuse più gravi rivolte al capo militare: violazione delle leggi e delle usanze di guerra (6 capi di imputazione); crimini contro l’umanità (7 capi di imputazione) e genocidio (2 capi di imputazione).
ALL’OMBRA DELLA MORTE oscura all’Aja nel 2006 dell’ex presidente serbo Slobodan Milosevic che, vale la pena ricordare, fu invece assolto proprio dal Tribunale dell’Aja per i crimini in Bosnia. Il 15 ottobre 2009 il caso di Mladic è stato scorporato da quello dell’ex leader dei serbo bosniaci Radovan Karadžic, dopo l’arresto di quest’ultimo e l’avvio del processo contro di lui all’Aja e conclusosi con la condanna nel 2016 a 40 anni di reclusione.
LA SENTENZA del Tpi dell’Aja, com’era facile prevedere, ha suscitato reazioni differenti in Bosnia-Erzegovina a seconda delle apparteneze etniche – mentre il piccolo Stato balcanico diviso in almeno due entità secondo Dayton, la Federazione croato-musulmana e la repubblica Srpska, è alle prese anche il problema della forte presenza di foreign fighters jihadisti di ritorno dalla guerra in Siria e residuo dei mujaheddin arrivati nel 1993 a combattere contro i serbi. Mladic resta un eroe per i serbi, quasi senza eccezione, che accusano di parzialità il Tpi. Così alcune decine di manifestanti nella Sarajevo orientale (parte della Republika Srpska, l’ entità a maggioranza serba di Bosnia secondo Dayton) sono scesi in piazza mostrando cartelli con scritte «Eroe», «Europa, vergognati». Per i croati e i musulmani invece Mladic ha avuto ciò che si meritava. Ora la sentenza riapre proprio il nodo pericoloso della rimessa in discussione degli accordi di Dayton del 1995. Ieri a Sarajevo è stata rafforzata la sicurezza intorno all’ambasciata della Serbia.
FONTE: Ester Nemo, IL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/11/95508/
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