L’allievo di don Lorenzo Milani malato di Sla «Il biotestamento salva la dignità»
FIRENZE Ancora oggi, nonostante la Sla che lo sta uccidendo, Michele Gesualdi, 74 anni, continua a scrivere lettere. Non può più parlare, l’allievo prediletto di don Milani, e anche la disciplina dello scrivere lo affatica moltissimo. Ma la mente è lucida e ogni sua parola è come un raggio di luce. «Questo Papa è proprio un dono. Entra nelle sofferenze delle persone», ha appena scritto Michele alla figlia Sandra dopo che papa Francesco aveva parlato a favore del non accanimento terapeutico.
Le parole del Papa sono arrivate come una benedizione nell’appartamento di Calenzano, hinterland di Firenze, dove Gesualdi vive la sua condizione drammatica di malato assistito dalla moglie Carla anch’essa allieva di don Milani. E adesso sono in tanti a pensare che lo straordinario discorso del pontefice sia maturato anche grazie a Michele. Dopo un incontro avvenuto a Barbiana il 20 giugno e dopo due «lettere» che Gesualdi gli ha scritto.
La prima, del dicembre del 2016, è l’invito a Francesco a Barbiana e che probabilmente ha convinto il pontefice a quel viaggio e quell’incontro nei luoghi del «prete scomodo».
La seconda è un appello che ha scosso le coscienze (e fatto nascere un comitato con nomi celebri della politica e della cultura) sull’esigenza di avere al più presto una legge sul testamento biologico ferma da troppo tempo in parlamento. Ci sono affinità tra le parole di Francesco e quelle di Michele? «Certo che sì — risponde la figlia Sandra —. Sono due: il “no” all’accanimento terapeutico e il “no” all’eutanasia. In mezzo a questi due limiti, dice mio padre, c’è la dignità dell’uomo».
Da un anno Sandra, giornalista, è la voce di Michele. Presenta il suo libro, va in televisione, riporta fedelmente il pensiero del padre. «Ed è una sofferenza perché finire sui giornali o in tv, quando una malattia terribile e schifosa, come è la Sla, ti circonda, colpisce il tuo babbo e di conseguenza tutta la famiglia — continua Sandra — è un modo di rinnovare continuamente la sofferenza. Se mio padre ha deciso di combattere questa battaglia, che per lui e per noi tutti è un grido di dolore, non è per se stesso ma per gli altri. Ha chiesto che venga approvato il testamento biologico, ma per tutti coloro che soffrono. E credo che questo sia il vero insegnamento di don Milani alla quale si è ispirato per tutta la vita. Sforzo immane, perché è come se tu parlassi di fame quando non mangi da una settimana. Però questa è la nostra battaglia e io come voce di Michele Gesualdi, ho il compito che lui mi ha assegnato, la continuerò perché è il mio dovere».
Come ha sempre fatto Michele fin da bambino, un orfanello che ogni mattina saliva la collina di Barbiana, una piccola frazione di Vicchio nel Mugello, per studiare. E da adulto pubblicò, contro l’opinione dominante, le moltissime lettere di don Milani. Per poi addirittura criticare il maestro scrivendogli che quel mondo reale era ben diverso da quello che aveva conosciuto a scuola. Don Milani, invece di sgridarlo, ne fu orgoglioso e lo ringraziò per quelle che definì «legnate». Di «legnate» Michele ne ha tirate molte. Da sindacalista e da politico. Perché dopo la scuola di Barbiana e anni passati da emigrato in una fabbrica tedesca la sua scorza, già forte, era diventata un’armatura. Epici i suoi scontri, da presidente della Provincia di Firenze (per due mandati) con Matteo Renzi, ancora non «rottamatore», che lo avrebbe sostituito sulla poltrona di Palazzo Medici Riccardi. Legnate pedagogiche, però. Perché indietro Gesualdi ha ricevuto sì critiche severissime e molti sgarbi politici, ma anche rispetto, ammirazione e soprattutto riconoscenza.
È stato anche un babbo straordinario, Michele? «Un grande padre che io non giudico con le lenti dell’eccezionalità — risponde Sandra — come lui stesso mi ha insegnato. È stato un padre forte, che non si è piegato ai tempi, che non si è adattato all’edonismo e al consumismo, ma ha cercato di seguire sempre gli ideali del Vangelo e gli insegnamenti di Lorenzo Milani. Con le sue opere e i suoi scritti».
FONTE: Marco Gasperetti, CORRIERE DELLA SERA
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