by Luca Tancredi Barone | 9 Novembre 2017 10:35
La chiave sta nei sistemi «integrati»: per arrivare alla larga scala devi partire dal villaggio e dalle mini-reti locali
Anche se con poca eco mediatica, in questi giorni è in corso la 23a conferenza mondiale sul clima a Bonn, un appuntamento importante perché il cambiamento climatico è una delle sfide globali più complesse e più pericolose per l’umanità e l’intero pianeta. Il manifesto ha parlato con Daniel Kammen, del Laboratorio di energia rinnovabile e appropriata (Rael) all’università di Berkeley, California, che era a Roma la settimana scorsa per partecipare al bel convegno internazionale organizzato dalla Pontificia accademia delle scienze «Salute delle persone, salute del pianeta e la nostra responsabilità».
Il nome del suo laboratorio è curioso.
Per venti anni siamo stati etichettati come quelli dell’energia rinnovabile, ma noi lavoriamo su sistemi energetici integrati, quella che chiamiamo la «scienza delle soluzioni», ossia come arrivare alla decarbonizzazione e favorire una transizione verso l’energia pulita. E questa transizione su larga scala avviene attraverso passi su piccola scala, come sistemi domestici, villaggi, mini-grid (reti che collegano gruppi di utenti locali, ndr). Io sono un fisico, ma nel mio laboratorio trova matematici, fisici, economisti: la motivazione che ci spinge è la giustizia ambientale, la giustizia sociale. Il nome viene da tutto questo.
Una legge che sta per essere approvata fissa l’obiettivo per la California di utilizzare il 100% di energia pulita entro il 2045. Possibile?
Assolutamente sì. E per giunta senza contare né il nucleare né l’idroelettrico. La California è già leader nella riduzione delle emissioni di carbonio negli Stati Uniti. Entro il 2030 arriveremo al 50%. Attualmente puntiamo sul solare. Poi sul vento e sulla biomassa (materia organica combustibile o da trasformare in biocarburante, ndr) sostenibile, se esiste. Oggi come oggi la tecnologia chiave per il cambio è il gas.
Ma il gas non è energia pulita.
Non lo è. Infatti è una soluzione a corto termine, ma il gas costa poco, le centrali sono rapide ed economiche da costruire, e produce meno CO2. È una tappa intermedia. E poi la California spinge moltissimo sullo stoccaggio dell’energia.
Per usare sole e vento servono buone batterie.
Esatto. E siccome l’idroelettrico non entra nei piani, non possiamo usarlo per immagazzinare energia portando in alto acqua quando c’è energia in eccesso per farla cadere giù quando ci serve. Ci sono compagnie che usano lo stesso concetto ma con delle rocce: stanno disegnando treni monorotaia senza attrito con nuove tecnologie per portare su e giù le rocce con minima dispersione di energia. Ma la vera tecnologia sono le batterie a ioni di litio, le batterie di flusso al vanadio, le batterie al sale. Il mio laboratorio lavora su molte di queste tecnologie di punta. Dobbiamo incentivarle. La California oggi impone che i fornitori di energia debbano stoccare il 2% della loro produzione di picco con nuove tecnologie di immagazzinamento. Stiamo anche lavorando sull’elettrificazione del parco automobilistico: è un modo per costruire uno stoccaggio mobile diffuso, in modo che il prezzo ricada sugli individui e non sullo stato. Alla fine del processo, stimiamo che un 20-30% della domanda energetica di picco dovrà essere disponibile in qualche forma di stoccaggio.
Sembra facile. Ma le batterie presentano ancora problemi.
Non tanti. Sono troppo care, è vero. Ma la tecnologia sta migliorando molto più rapidamente che il solare. L’obiettivo è che costino 100 dollari per kWh di capacità di stoccaggio. Oggi siamo sui 350, ma scenderà come è successo per il solare. E poi sarà molto importante diversificare le tecnologie. Una molto promettente è la batteria a volano, o flywheel, una specie di ruota che accumula energia cinetica, e non chimica. Tra l’altro, questo evita il problema che per esempio non ci siano abbastanza miniere di litio.
Voi lavorate come consulenti in vari paesi per aiutarli a fare la transizione energetica. Quali sono i passi più importanti?
Il primo è avere buoni strumenti di pianificazione per poter valutare gli scenari possibili. Noi abbiamo creato un modello che si chiama «Switch» per la rete energetica. Lo abbiamo usato in California, Messico, Nicaragua, Cile, Cina, Kenya, Bangladesh, Kossovo, Albania. Lavoriamo con le università per applicarlo alle realtà locali. Il secondo elemento importante è l’impegno dei paesi a fare della rete un mercato e non un monopolio, e questo è molto più complicato. Non solo per i problemi di corruzione o per le modalità di lavoro radicate nei fornitori, ma anche per i sussidi più o meno nascosti. Secondo me dobbiamo costruire un mercato più simile a E-bay, dove tu puoi comprare e vendere energia. Ma questo richiede regole e trasparenza, e non è semplice. Dobbiamo smettere di pensare che da un lato ci sono le grandi centrali e dall’altro i consumatori. Oggi si usa un brutto neologismo, i «prosumatori» (prosumers, in inglese), cioè produttori-consumatori.
Quindi io consumo energia ma la posso anche produrre per esempio con il sole.
Esatto. Ma io immagino proprio un mercato, in cui se compro o vendo all’ora di picco, pago o incasso di più. E un mercato in cui le unità di misura non sono solo i soldi ma anche il carbonio. È molto complicato, lo so. Non tanto tecnicamente – in tutti i paesi dove l’abbiamo studiato è tecnicamente fattibile – ma politicamente.
L’ultima domanda è sull’incontro di Roma della scorsa settimana. Ha parlato del diritto di accesso all’energia per i più poveri.
È un incontro centrato sull’enciclica Laudato si’, per come renderla operativa. Io ho spiegato come possiamo dare accesso all’energia a un miliardo e mezzo di persone nel mondo che non hanno elettricità. Lo possiamo fare con una combinazione di miglioramento delle tecniche per cucinare, per la distribuzione dell’energia domestica, delle tecnologie solari, luci Led, introducendo mini-gridrinnovabili, e pulendo le reti più grandi. Papa Francesco è un leader mondiale sul tema del clima e in generale sui temi sociali. Abbiamo in corso un dialogo importante con il papa che crede, per dirla con le sue parole, che non si può essere un buon cattolico se non ci si prende cura dell’ambiente. È molto attivo con molti paesi poveri in America Latina, dove lavoriamo anche noi. Il suo messaggio arriva ai più poveri dai pulpiti delle chiese, e ci aiuta a raccontare come si può uscire dalla povertà attraverso l’energia pulita.
FONTE:
IL MANIFESTO[1]Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/11/95347/
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