by Viviana Mazza | 6 Novembre 2017 10:08
Una settimana fa il Ritz Carlton di Riad ospitava una conferenza in cui il principe Mohammed bin Salman, il trentaduenne erede al trono saudita che controlla già la Difesa e l’Economia del Regno, illustrava a personaggi come Sir Richard Branson e Tony Blair il futuro post-petrolifero che vuole costruire in Arabia. Ieri il Ritz Carlton si era trasformato, secondo indiscrezioni, in una prigione dorata: 11 principi e 38 ministri ed ex ministri, tutti accusati di corruzione, si troverebbero agli arresti domiciliari in questo e altri hotel di lusso di Riad. Il nome che ha stupito più di tutti è quello del principe Alwaleed bin Talal, uno degli uomini più ricchi al mondo, detto il Warren Buffet del Medio Oriente, poiché vanta investimenti dalle banche agli alberghi, dagli «old media» alle nuove tecnologie. Alwaleed, pur non essendo certo un dissidente, si è spesso distinto rispetto a tanti parenti più conservatori per le sue idee progressiste in favore dei diritti delle donne (incluso quello alla guida, recentemente garantito con decreto reale).
Gli arresti, annunciati sabato in tarda serata dalla tv Al Arabiya con il benestare anche del consiglio dei religiosi, segnano una decisa accelerazione nell’accentramento di potere nelle mani del giovane Mohammed bin Salman, detto «Mbs» dai diplomatici americani. Poche ore prima suo padre, il re Salman, lo aveva messo a capo di una nuova commissione anti-corruzione. La Casa Bianca non ha commentato sulle «purghe», ma in un comunicato (diffuso nelle stesse ore) ha elogiato l’impegno del figlio del re a modernizzare l’Arabia Saudita: ancora una volta, come già nelle scelte di politica regionale — contro l’Iran e anche il Qatar — il presidente Usa appoggia la più aggressiva linea saudita. Con Alwaleed Al Talal d’altronde — che pure da Trump aveva comprato uno yacht e (con altri) un hotel — il presidente si era scontrato su Twitter durante la campagna elettorale: il miliardario saudita lo definì una «vergogna non solo per il partito repubblicano ma per l’America intera; e il tycoon newyorchese ribatté che il «principe tonto» stava cercando di «controllare i politici Usa con i soldi di papà».
I nomi degli arrestati, indicati attraverso le iniziali dai media di Stato, sono presto stati condivisi per intero dagli sbalorditi cittadini sauditi su Twitter e WhatsApp. Tra gli altri reali presi nella rete di Mohammed bin Salman ci sarebbero due figli del precedente sovrano, Re Abdullah, uno dei quali è Mutaib bin Abdullah, 65 anni, già rimosso dalla linea ereditaria per il trono e ora licenziato anche dalla guida della Guardia Nazionale, una forza militare che poteva costituire un pericolo per l’ascesa di «MbS». La fine del cugino Mutaib, l’unico suo possibile rivale per il trono, era attesa da quando, lo scorso giugno, era stato deposto e poi messo agli arresti domiciliari un altro cugino, l’allora principe ereditario e ministro degli Interni Mohammed bin Nayef.
La corruzione è un problema enorme per l’economia saudita e c’è chi sostiene che solo un’accentramento di potere può risolverlo per realizzare davvero la «Visione 2030», il piano di riforme di «MbS» per ridurre la dipendenza dal petrolio aumentando gli investimenti privati e privatizzando parzialmente Saudi Aramco. Ma quella di Mohammed bin Salman è una mossa anche profondamente politica, che ricorda le purghe di Xi in Cina nel nome della lotta alla corruzione. E ora si moltiplicano a Riad le voci che suo padre, l’81enne Re Salman, si prepari ad abdicare.
FONTE: Viviana Mazza, CORRIERE DELLA SERA[1]
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