Joseph Stiglitz: «Non si esce dalla crisi senza politica redistributiva della ricchezza»
Una diagnosi spietata e assai colta sulle cause della diseguaglianza nel mondo ma anche una constatazione di impotenza verso lo strapotere delle multinazionali, verso la globalizzazione e verso l’avanzare della tecnologia, fonte della prima delle diseguaglianze: la disoccupazione.
Dunque una sorta di funerale, se mai ce ne fosse bisogno, delle politiche del welfare, unica cura possibile per frenare la diseguaglianza, divenuta d’altronde un arma che i governi preferiscono non usare malgrado, sono in molti a ricordarlo, sia stata la cura che sanato il capitalismo mondiale dopo la crisi del ‘29.
IL TEMA oggetto della conferenza organizzata dall’Istituto Cattaneo di Bologna è tra i più drammatici della nostra epoca perché si presenta in modo violento sia tra Nord e Sud del mondo, sia all’interno dei paesi dell’occidente. E viene ben sintetizzato da un’ormai nota analisi di Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia e professore alla Columbia University: «L’1 per cento della popolazione controlla il 90 per cento della ricchezza mondiale».
Sul palco della tavola rotonda assieme a Stiglitz, ci sono Romano Prodi, l’economista Paolo Onofri, l’ex presidente dell’Istat Enrico Giovannini, Robereto Tonini di Bankitalia e Marco Mira D’Ercole dell’Ocse.
A FUSTIGARE IL LIBERISMO imperante ci pensa proprio Stiglitz. Il premio Nobel non ha dubbi a proposito della crisi: «Non usciremo dalla depressione se non ci sarà una vera politica redistributiva che passi anche attraverso la tassazione delle rendite. Da questo punto di vista il ruolo dello Stato è cruciale. La cosa drammatica è che in un epoca di finanziarizzazione dell’economia mondiale e una globalizzazione spinta, le politiche economiche, uniche in grado di gestire una redistribuzione della ricchezza, sono impotenti di fronte alla crisi, i capitali si spostano con rapidità e fuggono dalle politiche dei governi. Non solo. I privati in alcuni casi preferiscono la diseguaglianza perché per loro un basso salario si traduce in minori costi».
ANCHE ROMANO PRODI non è tenero nella sua analisi: «Io non sono uno specialista di statistica ma conosco la storia e mi risulta che le diseguaglianze siano create dalle pestilenze e dalle guerre. Questa è la realtà. Soltanto nel secondo dopoguerra le diseguaglianze si sono attenuate ma quella era un’eccezione. Negli anni successivi i divari sono cresciuti in modo impressionante. Io credo che ci sarebbe bisogno di un organismo mondiale in grado di redistribuire le risorse ma da questo punto di vista sono tutt’altro che ottimista. Le difficoltà che si incontrano ad esempio nel tassare le nuove multinazionali come Google e Apple sono significative. Comunque penso che spetti alla politica, ai governi invertire questo trend. Ma non mi pare che ci siano progetti credibili» (Prodi si è astenuto dal dare un giudizio sul Jobs Act). Non è tutto nero. La Cassa Depositi e Prestiti ha ad esempio dei progetti interessanti in materia di welfare ma la vera difficoltà, come hanno detto altri è che la mobilità dei capitali si sottrae ad ogni tipo di redistribuzione attraverso il fisco».
ENRICO GIOVANNINI, volendo, è stato ancora più severo nella diagnosi dello stato di salute del mercato del lavoro: «Le diseguaglianze non sono soltanto tra generazioni ma all’interno delle stesse generazioni. La cosa che più preoccupa è che non c’è una visione d’insieme per farci uscire da questo trend. Anzi, mentre noi discutiamo su come ricostruire una politica del welfare in Inghilterra si celebra la Brexit e negli Stati Uniti c’è Donald Trump».
Anche Roberto Torrini di Bankitalia ha denunciato l’inadeguatezza del Welfare e ha bocciato le politiche economiche dei governi europei ma anche lui ha partecipato alle onoranza funebri del welfare sostenendo che sotto accusa non è l’alibi della globalizzazione ma le scelte dei governi.
QUANDO nelle domande che hanno concesso alla stampa abbiamo sottolineato un po’ provocatoriamente che il dibattito per quanto interessante faceva emergere un impotenza latente in tutti gli interventi Romano Prodi con un sorriso ha alzato le braccia come per dire: «Non possiamo farci nulla».
*** LA LAUREA HONORIS CAUSA AL POLITECNICO DELLE MARCHE
Joseph Stiglitz ha «aperto un nuovo campo d’indagine economica» che «si studierà al posto di quella tradizionale e cerca di risolvere i problemi della gente». Sono le motivazioni della laurea honoris causa attribuita dall’Università Politecnica delle Marche al premio Nobel per l’Economia nel 2001. Le ha pronunciate l’economista Mauro Gallegati. Stiglitz ha tenuto una lectio sulle diseguaglianze prodotte dal capitalismo Usa: «un modello economico che ha fallito».
FONTE: Bruno Perini, IL MANIFESTO
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