In galera i ministri della Catalogna. «Prigionieri politici»
MADRID. Nella sfibrante partita a scacchi tra l’esecutivo catalano e il governo centrale è intervenuta, come alcuni speravano e altri temevano, la magistratura. E con poche, folgoranti mosse ha spazzato via tutti i pezzi di quello che passerà alla storia come il govern che lanciò l’attacco al cuore dello stato. E fu annichilito nel tentativo.
SU PUIGDEMONT, fuggito a Bruxelles, incombe la minaccia di un mandato di cattura internazionale; mentre ieri per sette ex consellers e il fu vicepresidente Oriol Junqueras si sono addirittura spalancate, per ordine della giudice dell’Audiencia Nacional Carmen Lamela, le porte del carcere. Una disposizione tanto annunciata quanto straordinaria, che resterà negli annali della storia della Spagna e condizionerà senz’altro l’esito delle elezioni del prossimo 21 dicembre.
Rimandata l’udienza al Tribunal Supremo per la presidente della Camera catalana Carma Forcadell e gli altri parlamentari, accusati di aver ammesso al voto la mozione per la dichiarazione unilaterale di indipendenza: verranno sentiti il prossimo giovedì.La decisione della custodia cautelare per Junqueras e compagni – che accoglie le richieste del pubblico ministero – è scattata dopo l’udienza di ieri mattina in procura, dove gli ex consellers hanno fatto, uno dopo l’altro, scena muta. Tranne Santi Vila, l’ex ministro catalano dell’Economia, critico con la linea dura del govern (e perciò dimissionario dal giorno precedente alla dichiarazione d’indipendenza), che ha risposto al pm e potrà evitare il carcere su cauzione (di 50mila euro). Nel motivare la disposizione la giudice ha insistito sul rischio di distruzione delle prove, di reiterazione dei reati ascritti (ribellione, sedizione e malversazione, punibili con pene fino a 30 anni) e di fuga, anche in ragione del precedente di Puigdemont.
E mentre da Madrid arrivava l’immagine storica dei furgoni della Guardia Civil a sirene spiegate con a bordo Junqueras e gli altri consellers, le reti sociali ribollivano di commenti, tra cui quello dello stesso vicepresidente della Generalitat: «Fate tutto ciò che è alla vostra portata per far sì – scriveva su Twitter – che alle elezioni del 21 il bene vinca sul male; sempre in piedi con determinazione fino alla vittoria».
HA DISERTATO L’AULA, invece, l’ex governatore Puigdemont, rimasto a Bruxelles insieme a quattro suoi ministri. In un comunicato reso pubblico nella serata di mercoledì, il «governo legittimo della Catalogna» – così si legge in calce al documento – aveva fatto sapere di non aver intenzione di sottoporsi «ad un processo politico voluto dallo stato spagnolo». Immediata, come conseguenza del gran rifiuto, la richiesta, ieri, di un mandato d’arresto europeo da parte del pm, che, salvo clamorose sorprese, verrà confermato oggi dalla giudice Lamela.
È la linea del costituzionalismo critico della galassia Podemos: no alla Repubblica catalana e no alla repressione di stato. «Mi vergogno – ha dichiarato Pablo Iglesias – del fatto che nel mio paese si arrestino gli oppositori. Non vogliamo l’indipendenza, ma chiediamo libertà per i prigionieri politici». Persino i socialisti catalani, nonostante il silenzio della direzione centrale, hanno parlato di «decisione esagerata». Atteso da tutti, in serata è arrivato anche il commento di Puigdemont, che, secondo quanto anticipato dal suo avvocato, dovrebbe consegnarsi spontaneamente alla giustizia belga non appena la giudice spiccherà l’ordine di cattura. «Il governo catalano legittimamente eletto è stato arrestato per le sue idee e per aver mantenuto fede al mandato dei suoi elettori. Lo stato rinuncia al dialogo e ricorre alla violenza e repressione, per dare un golpe alle elezioni del 21. Dobbiamo lottare, ma pacificamente».Poco prima, anche Ada Colau, aveva scagliato una freccia al cianuro in direzione di Madrid: «Quello di oggi – ha commentato la sindaca di Barcellona – è un giorno nero per la Catalogna: il governo democraticamente eletto è in carcere. Dobbiamo unirci per ottenere la liberazione dei prigionieri politici». La sindaca è poi apparsa in serata in conferenza stampa e ha rincarato la dose: «Questa è una vendetta dello stato; è un attacco alle istituzioni catalane e alle fondamenta democratiche dello stato».
BENZINA, nonostante gli appelli alla calma, sugli animi incandescenti dell’indipendentismo, che, mentre il blocco centralista (Pp e C’s) applaudiva «il trionfo della legalità», già ieri pomeriggio scendeva in piazza mobilitato dalla Cup e dalle organizzazioni indipendentiste di base Anc e Òmnium cultural (i cui leader, Sánchez e Cuixart sono già in carcere per sedizione dal 16 ottobre su disposizione sempre della giudice Lamela). Domani si prevedono altre proteste massive e, con la tensione tornata ai livelli del giorno del referendum, la Spagna si chiede di nuovo fino a che punto il paese possa reggere questo stato di fibrillazione costante.
FONTE: Giuseppe Grosso, IL MANIFESTO
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