by Roberto Ciccarelli | 17 Ottobre 2017 9:16
Ma per affrontare l’emergenza sociale di oltre 4 milioni di “poveri assoluti” servirebbero 5 miliardi in più all’anno, dieci in più per una misura strutturale di reddito minimo, essenziale per affrontare il “rischio povertà” che riguarderebbe 17 milioni di persone. Secondo l’Eurostat uno residente su tre in Italia è a rischio. Peggio fanno Bulgaria, Romania e Grecia
Il governo ha aumentato di 300 milioni di euro la dotazione del fondo per la lotta alla povertà che finanzia il «reddito di inclusione» (Rei). Questa cifra si aggiunge a 1,7 miliardi stanziati nel 2018 e ai circa 1,8 nel 2019. Con questa cifra si intende estendere la platea dei beneficiari di questa misura agli «over 55». Il ReI è oggi destinato a più di 500 mila famiglie, 1,8 milioni di individui in «povertà assoluta». In questa categoria in Italia rientrano 4 milioni e 742 mila persone, pari a 1 milione e 619 mila famiglie residenti. Considerate queste cifre, le misure varate dal governo ricordano il tentativo di svuotare l’oceano della povertà con un cucchiaio. Ma sembrano bastargli per comunicare l’immagine di una manovra «no lacrime e sangue», di «svolta» e «sociale».
«IL 60% DEI POVERI è escluso dal reddito di inclusione» ha detto Don Luigi Ciotti (Libera) sabato scorso all’iniziativa romana «Ad alta voce» della Rete dei Numeri Pari. Don Ciotti ha riconosciuto che il governo Gentiloni «ha fatto qualcosa». La consapevolezza dell’inadeguatezza del ReI è stata manifestata anche dall’Alleanza contro le povertà, un cartello composto da 35 associazioni e sindacati, tra cui la Caritas e Cgil, Cisl e Uil: «Il 41% dei minori in povertà assoluta non sarà raggiunto dalla misura – è la posizione – Di fatto, il profilo attuale della misura dividerà i poveri in due gruppi: quelli che riceveranno il Rei, e quelli che non lo riceveranno. Una situazione accettabile solo se transitoria». Per rendere «strutturale» il Rei dovrebbe essere finanziato con 7 miliardi di euro all’anno: mancano 5 miliardi. In questo caso raggiungerebbe quelli che sono considerati i «poveri assoluti», ma non quelli «relativi», ovvero coloro che sono giudicati «a rischio povertà». Per coprire questi ultimi occorrerebbero tra i 14,9 e 23,5 miliardi di euro annui. È stata questa la valutazione dei costi fatta dall’Istat sui progetti di «reddito minimo» presentati dal Movimento 5 Stelle e dall’allora Sel (oggi Sinistra Italiana) su spinta di movimenti e associazioni che presentarono a inizio legislatura una proposta di legge di iniziativa popolare. Una prospettiva ben lontana dall’essere prossima in Italia.
IN OCCASIONE della giornata internazionale per lo sradicamento della povertà, prevista oggi, l’Eurostat ha rilanciato i dati drammatici sulla povertà in Italia. Nel 2015 l’Italia aveva il maggior numero assoluto di persone «a rischio di povertà» dell’Unione Europea: 17 milioni 470 mila, oltre due milioni e mezzo in più rispetto ai 15,08 milioni che si contavano già nel 2008. Questo dato è composto dalla somma dei «poveri assoluti» – per i quali è stato pensato lo strumento inadeguato e iniquo del «reddito di inclusione». Sebbene il «rischio povertà» sia aumentato dal 25,5 al 28,7 per cento dal 2008 al 2016, per queste persone non è prevista alcuna misura – come ad esempio il «reddito minimo» raccomandato dalle istituzioni europee sin dal lontano 1992.
PER L’ISTAT nel 2016 i poveri «relativi» erano 8 milioni 465mila individui, 2 milioni 734mila famiglie. Sono persone mediamente giovani: la povertà colpisce il 14,6% tra gli under 35 mentre scende al 7,9% nel caso in cui la persona di riferimento della famiglia è un ultra- sessantaquattrenne. L’incidenza di povertà relativa è alta per gli operai e assimilati (18,7%) e per le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (31%). Sebbene la statistica ufficiale parli una lingua di legno, la descrizione dell’impoverimento di massa, giunti come siamo al decimo anno di crisi, traspare in tutta la sua crudezza. Anche Eurostat parla di «gravi deprivazioni» che consistono nella difficoltà a pagare rate e bollette, scaldare adeguatamente l’abitazione, mangiare carne, pesce o proteine equivalenti un giorno su due e possedere alcuni beni come l’auto, la lavatrice, un cellulare o una Tv a colori. Queste difficoltà sono, in molti casi, dovute alla precarietà lavorativa.
SITUAZIONI DIFFICILI dilagate al punto – sottolinea Eurostat – che il «rischio povertà» in Italia ha superato quello in Germania. Rispetto alla popolazione totale, peggio dell’Italia fanno solo Bulgaria (40,4 persone a rischio), Romania (38,8%) e Grecia (35,6%). In Italia quasi una persona su tre è «a rischio povertà»: il 28,7 per cento.
FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO[1]
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