Bernardo Atxaga: «C’è troppo machismo ma non vogliamo martiri né eroi»
BARCELLONA «Venerdì ero a Girona, una delle culle dell’indipendentismo catalano, e mi è sembrato di entrare in una bolla temporale, come la pausa di un’orchestra: c’è silenzio, ma il cuore accelera in attesa che qualcosa accada. I catalani riposano poco e male, faticano a ragionare con lucidità, sono tesi, sballottati dagli eventi dei giorni scorsi. È il momento per allentare la tensione».
Bernardo Atxaga è basco, scrive in basco, si autotraduce in spagnolo e, per quelle traduzioni, è considerato oggi il migliore dei poeti spagnoli. Chiedere a lui di nazionalismi e indipendentismi significa aprire un vaso di Pandora di considerazioni, sfumature, sensibilità. «La politica non dovrebbe essere esercizio per martiri o eroi, piuttosto per riformisti che non lasciano cadaveri dietro di sé».
Lei non ha firmato i due manifesti degli intellettuali contro la «truffa del referendum» e l’«imposizione anti democratica di un’indipendenza unilaterale» della Catalogna. Perché?
«Per individualismo o per mancanza di fiducia nei manifesti. Mi paiono come l’opera lirica, una forma d’espressione un po’ antiquata».
È favorevole al processo indipendentista catalano?
«Spero inizi un’epoca, che duri da 3 a 10 anni, nella quale si possa arrivare a un referendum di autodeterminazione».
I due schieramenti però sembrano impermeabili alle ragioni dell’altro.
«Ha ragione. Se prende El País o Ara , due giornali non estremisti ma in campi contrapposti, è come leggere di due pianeti lontani. Si sta combattendo una battaglia profonda con tutte le armi a disposizione: i cortei, le parole, le immagini, la demonizzazione dell’avversario. Si sta liberando aggressività, entra in campo il machismo, il grande nemico della ragione. Dagli insulti si arriverà a qualcosa di peggio».
Quindi?
«Esiste un altro piano. Non è quello della rissa di comunicazione, delle emozioni, ma quello teorico. E a questo livello non ci sono dubbi che la Catalogna abbia il diritto di poter decidere del suo proprio futuro. Come chiunque altro».
Come ci si può arrivare?
«Amici catalani mi dicono di lavorare a una dichiarazione d’indipendenza che verrebbe sospesa e resa inefficace».
Quindi non un atto di rivolta ma un atto simbolico. Madrid lo accetterebbe?
«Non so. Ma se mettesse i politici in prigione, e può farlo perché è più forte, sarebbe una vittoria di Pirro. Come un sasso che genera la valanga. Si andrebbe incontro ad anni ancora più difficili. Invece adesso bisogna andare lenti come tartarughe, far decantare le passioni. Due alberi che si intrecciano possono anche fondere i rami. Ma ci vuole tempo».
Vede sagge tartarughe in circolazione?
«Le magliette bianche, chi ha manifestato senza simboli di partito. Il loro è un potere invisibile, contendono le parole ai due combattenti. Creano un terzo spazio di pensiero possibile. Non è poco, ma dovranno resistere alle accuse di equidistanza e buonismo».
Come si spiega questo risorgere dei nazionalismi?
«Io penso non siano mai scomparsi. Siamo onesti: gli Usa sono il Paese più nazionalista del mondo, la Spagna è nazionalista. L’ex presidente Aznar per spiegare un attentato islamista disse orgoglioso: “Ci attaccano perché li abbiamo cacciati dieci secoli fa”. Il nazionalismo brutto è sempre quello degli altri».
FONTE: Andrea Nicastro, CORRIERE DELLA SERA
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