L’identificazione «stupri-migranti» è pericolosa oltre che sbagliata

L’identificazione «stupri-migranti» è pericolosa oltre che sbagliata

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«Se parliamo di stupro, parliamo di stupro. Non farò neppure un passo indietro sulla mia e la nostra libertà. Non mi interessa sapere la nazionalità o la religione dello stupratore, dopo le molte battaglie di civiltà che le donne hanno intrapreso su questo punto non si deve arretrare neppure di un millimetro». Gabriella Moscatelli, presidente di Telefono Rosa, ha le idee molto chiare riguardo la possibilità che l’intersezione tra violenza sessuale e migranti, così posta e che in questi giorni viene rappresentata nella lettura degli ultimi episodi di stupro, possa generare confusioni pericolose sull’unico nodo che va affrontato, con serietà e senza ipotetiche «aggravanti» (che sono poi l’altra faccia dei condoni di coscienza).
Una tale differenziazione può essere non solo pericolosa ma anche capace di fomentare un clima d’odio in cui le donne sono «utilizzate» per una strategia più grande: quella di portare guadagni a questo o a quell’altro schieramento. Insomma, invece di contribuire alla lotta contro il pernicioso fenomeno della violenza contro le donne, si cercano dei distinguo del tutto inutili. «Continuiamo a sfornare dati – prosegue preoccupata Moscatelli – ma non servono se esiste un sommerso così spaventoso. Il percorso che deve essere fatto per uscire dalla violenza è possibile e al contempo duro».
Dopo i dati diffusi da un’indagine compiuta dall’Istituto Demoskopika, non c’è da stare allegri. Si parla di una media di 11 stupri al giorno. E se tra i 2.333 casi di violenze sessuali (tra gennaio e luglio del 2017) e i 2.345 nello stesso periodo del 2016 non vi è una sostanziale diminuzione, la presa d’atto è che la questione va affronatata in tutta la sua drammaticità, rimanendo – come è evidente – di una persistente e dolorosa consistenza.
Valutati sul territorio nazionale, i dati poi diffusi dal Viminale ad AdnKronos, raccontano di una media di 11 stupri al giorno, gli italiani denunciati sono in aumento rispetto ai primi mesi dell’anno scorso. E Lombardia e Lazio sono le regioni con la più alta incidenza di episodi. Ma come devono essere letti questi dati che certamente andranno ancora discussi soprattutto alla luce del Piano nazionale antiviolenza che verrà presentato la settimana prossima?
«Siamo di fronte a una impressionante regressione culturale: la radice della violenza sulle donne, matrice di ogni violenza e discriminazione, emerge nuda e visibile a tutti», sostiene Di.Re – Donne in rete contro la violenza che comprende più di 80 centri antiviolenza in tutto il territorio nazionale. Il comunicato stampa, diffuso il 30 di agosto è stato composto dopo le reazioni suscitate per le violenza sessuali di Rimini che hanno prodotto, se possibile, il moltiplicarsi dell’aggressione attraverso il web. La tessitura che in questi anni fanno associazioni come Telefono Rosa, gruppi e tavoli di discussione, commissioni e realtà virtuose come Di.Re – Donne in rete contro la violenza e tutti i numerosi consultori, centri e Case (pensiamo fra tutte alla Casa delle donne maltrattate di Milano) ha avuto e avrà una incidenza reale in quelle pratiche relazionali messe in campo per contrastare la violenza e accompagnare le donne che cominciano il percorso difficile di «uscita».
«Lo stupro, come arma di battaglia politica – continua Di.Re – come strumento di umiliazione e punizione nei confronti delle donne e in particolare di quelle che oppongono resistenza alla sottomissione e all’invisibilità, di quelle che esercitano autorità e fanno politica. Ma anche lo stupro come barzelletta, proprio perché sottovalutato nelle sue conseguenze umane e penali». Il riferimento è qui non solo alla valanga di «hate speech» da cui la presidente della Camera Laura Boldrini è bersagliata ma anche alla terribile e quasi incommentabile dichiarazione di quel mediatore culturale che ha preteso di spiegare come uno stupro sia, a un certo punto dell’atto, più gestibile e «godibile».
Se di baratro culturale ed etico si discetta ampiamente, è chiaro che quello più rumoroso è politico. Consentire che per giorni interi si prosegua a discutere dell’accostamento stupri-migranti senza ascoltare parole sensate da parte delle istituzioni, dà il polso di quanto quella retorica del silenzio che tanto maldestramente si attribuisce «alle donne» sia invece una totale noncuranza ben più generalizzata che pesca da una miseria lessicale e ancor prima simbolica.

FONTE: Alessandra Pigliaru, IL MANIFESTO



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