Inquinamento: il Dieselgate che uccide

Inquinamento: il Dieselgate che uccide

Loading

Secondo uno studio norvegese, solo il surplus di emissioni dei veicoli diesel tenuto nascosto dalle case automobilistiche avrebbe ucciso 4.560 persone all’anno in Europa (1.920 in Italia, record europeo). In totale sono circa diecimila all’anno le morti premature causate dalle automobili diesel

Il nuovo capo della Volkswagen, Matthias Muller, in carica dal 2015 per rimettere in piedi il colosso tedesco dell’automobile dopo lo scandalo Dieselgate, pochi giorni fa ha rivelato un suo cruccio al Corriere della Sera: “Trovo un peccato che il diesel sia diffamato in questo modo”. Forse non è faccenda che lo interessi più di tanto, ma è un peccato anche che solo le emissioni in eccesso di ossido di azoto dei motori diesel (quelle scandalosamente non dichiarate dai test di certificazione ufficiale) abbiano ucciso 4.560 persone all’anno in Europa (in Italia 1.920, record europeo di decessi, seguono la Germania con 960 e la Francia con 680).

Un mucchio di cadaveri, ogni anno. Poi ci sono le uccisioni normali, quelle senza “trucco” che incredibilmente non creano nessun allarme sanitario e sociale: i paesi con il maggior numero di morti premature attribuibili ogni anno al particolato fine emesso dai veicoli diesel sono l’Italia (2.810 nel 2013), la Germania (2.070) e la Francia (1.430). In totale sono 10 mila morti all’anno in Europa e circa la metà sarebbero evitabili se le emissioni reali rientrassero almeno nei valori limite stabiliti per legge.

L’impatto del Dieselgate sulla popolazione europea è stato confermato da uno studio curato dall’Istituto meteorologico norvegese e dall’istituto internazionale Iiasa e pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters. Il desolante primato italiano, spiega Jan Eiof Jonson, “riflette la situazione molto negativa dell’inquinamento specialmente nell’Italia settentrionale altamente popolata”, dove la pianura padana si conferma come uno dei territori più inquinati del mondo. Lo studio, tra le altre cose, sottolinea un contesto dove la catastrofe era da tempo annunciata: negli ultimi venti anni la percentuale delle auto diesel che circolano in Europa è salita a circa il 50% (attualmente sono 37 milioni, un numero di molto superiore a qualunque altro continente). I paesi meno inquinati dagli scarichi delle auto sono Norvegia, Finlandia e Cipro. In totale, spiegano i ricercatori norvegesi, ogni anno in Europa ci sono circa 425 mila decessi prematuri causati dall’inquinamento atmosferico. La quasi totalità di queste morti sono provocate da malattie respiratorie e cardiovascolari.

Un altro rapporto, pubblicato sempre ieri dalla Ong Transport & Environment, potrebbe rattristare il capo della Volkswagen e irritare anche il “nostro” Marchionne. Un’automobile diesel nell’intero ciclo di vita emette 3,65 tonnellate di CO2 (gas serra) in più rispetto a un’equivalente automobile a benzina. Le cause sono quattro: il processo di raffinazione del diesel è più energivoro rispetto a quello a benzina, la produzione di motori più pesanti e complessi ha bisogno di quantità maggiori di materiali, ci sono maggiori emissioni dei biodiesel di prima generazione presenti nella miscela e, infine, il carburante più economico è di fatto un incentivo per gli automobilisti a percorrere più chilometri. Secondo i risultati dello studio, questo tipo di automobili, oltre ad emettere più inquinanti – come ossidi di azoto e particolato e più CO2 – “costa in media 2-3 mila euro in più delle auto a benzina” (le auto ibride a benzina emettono circa il 20-25% in meno di CO2). Eppure ancora oggi sette auto diesel su dieci vengono vendute in Europa, un dato incredibile se confrontato con il 2% in Cina e l’1% degli Stati Uniti.

Secondo l’associazione Cittadini per l’aria, che nel 2015 ha contribuito a rendere pubblico lo scandalo Dieselgate, “è tempo che l’Italia affronti finalmente il grave problema che il diesel rappresenta per la salute di tutti i cittadini, non ci sono più scuse: ora sappiamo che questi motori sono dannosi anche per l’ambiente”. L’appello è rivolto alle istituzioni italiane, storicamente piuttosto sorde quando si tratta di chiedere il conto al produttore di automobili che una volta stava di casa a Torino. “Serve uno scatto d’orgoglio in due direzioni – dice la portavoce Anna Gerometta – da un lato il governo deve favorire l’uso di mezzi alternativi ai veicoli diesel e in generale alle auto private e rendere i controlli e gli incentivi davvero effettivi ed efficaci, dall’altro i Comuni devono ripulire le loro strade da questi motori, favorendo diverse abitudini e prassi di trasporto in collaborazione con i cittadini e le imprese e non solo con semplici divieti”.

Il coordinatore dei Verdi Angelo Bonelli è ancora più diretto: “Lo stato deve essere il primo a fare un’azione risarcitoria nei confronti delle aziende che producono auto diesel e utilizzare queste risorse per investimenti nella mobilità elettrica e per combattere lo smog e le polveri sottili, ma anche togliendo tutte le agevolazioni per le produzioni automobilistiche degli obsoleti e pericolosi motori a scoppio”.

FONTE: Luca Fazio, IL MANIFESTO



Related Articles

LA NUOVA SFIDA DI TARANTO

Loading

    Ci sono molti equivoci sull’Ilva e Taranto. Come il conflitto fra lavoro e salute. Come se i lavoratori non fossero cittadini – e figli mariti fratelli genitori – e sicurezza e malattie sul lavoro non fossero essenziali per tutti. L’equivoco vuol coprire un passato in cui l’azienda ha ottenuto una extraterritorialità , violando leggi e manipolando l’opinione; e oggi raschia un fondo di barile esausto, scansandone il risarcimento.

La coscienza dell’Ilva

Loading

Colpisce nella vicenda drammatica dell’Ilva quanto negli operai sia cresciuta nonostante tutto la consapevolezza dei problemi ambientali. La fabbrica viene difesa con la disperazione di chi si sente stretto tra scelte che non controlla: la necessità  di lavorare e i danni alla salute che la produzione provoca, ma non è più quel muro cieco degli anni Ottanta per l’Acna di Cengio, operai e sindacato contro ambientalisti e gruppi di cittadini.

Conservare per cambiare

Loading

Accade che le parole cambino significato nel tempo, fino a incarnare verità  opposte. Proviamo con Conservatori e Progressisti. Chiusi al nuovo e ostili ai mutamenti sociali i primi, aperti e radicali i secondi.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment