by Ester Nemo | 29 Settembre 2017 9:55
Ma quante Libie esistono? Sapevamo fino a ieri che dopo la disastrosa guerra della Nato a guida Sarkozy, ne erano rimaste almeno cinque. A Tripoli sotto l’apparente controllo di al-Serraj che, anche se non controlla nemmeno l’intera capitale libica, è riconosciuto dall’Onu (ma il nuovo inviato speciale Salamé la sa lunga sul leader di Tripoli); ma sempre a Tripoli e in Tripolitania stazionano e sfilano le sempre presenti formazioni militari islamista di Kwely, l’ex premier leader del precedente governo e parlamento; poi c’è il signore della guerra, Khalifa Haftar, appoggiato da Egitto, Usa e Russia, che tiene in mano la Cirenaica; infine le formazioni dello Stato islamico che dopo la sconfitta di Sirte si stanno riorganizzando al punto che in questi giorni ci sono stati contro di loro nuovi raid aerei americani (forse con droni) autorizzati da Trump; infine, qui e là, circa sei o settecento milizie, tra l’altro diffuse a sud nel Fezzan, pronte a presidiare chissà come la frontiera sud con Niger, Ciad e Mali lunga 5mila km, operazione che anche ieri Marco Minniti ha indicato come «decisiva». Ognuna di queste forze ha milizie più o meno istituzionalizzate e mimetizzate anche da polizia o guardia costiera; tutte posseggono centri di detenzione, vale a dire veri e propri lager dove finiscono migliaia di profughi disperati. Ieri la «guardia costiera» libica ha salvato 238 profughi su un barcone che rischiava di affondare: tutti sono stati catturati e spediti in un centro di detenzione.
Ma dopo la pronta, affrettata visita di ieri a Tripoli del ministro degli esteri italiano Angelino Alfano, possiamo dire che di Libie ce ne sono almeno sette. Se ne aggiungono altre due infatti, quella «alfaniana» che permette al ministro italiano di stringere la mano alla silhouette Serraj buono a tutti gli usi, esattamente il giorno dopo che il leader di Tobruk, Khalifa Haftar è stato ricevuto «in segreto» da Minniti – ecco l’altra Libia «minnitiana» – ma non nella veste del plenipotenziario del Viminale, bensì pare di capire come intelligence, e dalla ministra della difesa Pinotti, con all’ordine del giorno la «crisi libica» e «questioni di sicurezza». Tutti ci hanno letto l’interesse dell’Italia per la salvaguardia dei terminali dell’Eni, in particolare del centro di Mellitah. Viene pure il sospetto che esista una Libia «pinottiana» dedita alla trattativa su «difesa e sicurezza» (leggi, armi e militari italiani).
Comunque sia, ieri il ministro degli esteri Angelino Alfano ha incontrato a Tripoli il presidente libico Fayez al Sarraj: «Bilancio dopo circa un anno di governo in Libia: più sicurezza, meno migranti. Ora puntare su crescita», ha twittato il titolare della Farnesina. Tutti comprendono che è corso in Libia per dimostrare che il ministro degli esteri è lui e non Minniti, che gli ha ricevuto «in segreto» sotto casa il non riconosciuto dall’Onu Haftar. Mentre viene fuori uffialmente che il ministro è in Libia per «rinnovare l’impegno dell’Italia a sostegno dell’ Onu al fine di favorire il dialogo politico». E ancora che «per l’Italia non vi è spazio per soluzioni militari alla crisi libica; al contrario, l’anniversario dei due anni dalla firma degli Accordi di Skhirat deve rappresentare l’occasione per rinnovare l’impegno collettivo a favore di una soluzione condivisa»; e tranquilli «anche l’accoglienza che il governo italiano ha riservato al generale Haftar a Roma, martedì, si inquadra nello sforzo italiano di vedere unita la Libia».
Intanto il signore della guerra della Cirenaica Khalifa Haftar che fa il giorno dopo essere stato legittimato dall’asse italiano Minniti-Pinotti? È corso ieri dal protettore presidente francese Emmanuel Macron – che domani riceverà anche Haftar. Lo fa sapere l’Eliseo, confermando quanto detto dall’inviato Onu Ghassan Salamé in un’intervista. Nel comunicato si legge che la Francia vuole dare il suo contributo «a un compromesso politico sotto l’egida dell’Onu, che riunisca su una base inclusiva l’insieme dei differenti attori libici». Il vertice si annuncia a La Celle-Saint-Cloud, vicino Parigi. È una corsa tra Francia e Italia a chi arriva prima.
Secondo l’autorevole quotidiano egiziano Al Ahram, invece Haftar si propone di affrontare nell’incontro una serie di questioni «importanti a cui tiene»: fra queste, la volontà di smantellare le milizie di Misurata o Tripoli o inquadrarle in un futuro esercito; e soprattutto cambiare l’accordo di Skhirat togliendo al premier Fayez Al Sarraj la guida delle Forze armate e dichiarare terroristi, oltre all’Isis, i Fratelli musulmani che lo appoggiano. Il quotidiano cita «fonti vicine al Comando generale dell’esercito.
FONTE: Ester Nemo, IL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/09/94701/
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