Università, settemila docenti in sciopero
La protesta. I prof iniziano a confrontarsi in assemblea con le comunità accademiche. Dai sindacati agli studenti si rinnovano gli appelli alla creazione di un “fronte ampio”. Sinopoli (Flc-Cgil): “Rifinanziare scuola e università. Le risorse non possono andare ancora agli incentivi per le imprese la cui efficacia è nulla”. Gli studenti del coordinamento Link: “Pronti alla mobilitazione”
Sono 7.108 i docenti universitari che si sono astenuti dagli esami di profitto nel primo appello all’università. Per il «Movimento per la dignità della docenza universitaria», promotore dello sciopero è una cifra superiore di oltre 1500 unitià rispetto ai 5.444 che avevano inizialmente proclamato la clamorosa agitazione.
«Probabilmente – sostiene Carlo Ferraro, ordinario di Motori termici per trazione al Politecnico di Torino e portavoce del movimento – non tutti gli scioperanti hanno già comunicato a noi e al ministero la propria adesione». La protesta contro quello che è stato definito un «mutuo perpetuo» pari a più di 100 mila euro in meno dagli stipendi fino alla pensione continuerà fino al 31 ottobre. Gli esami saltati saranno recuperati successivamente in un appello straordinario.
«Il risultato corrisponde quasi tutto all’ultima settimana e mezza di esami – spiega Ferraro – mancano ancora molte settimane alla fine dello sciopero e ognuno è in grado di valutare quale situazione potrà esserci alla fine di settembre». Poi l’invito ai colleghi: «Non lasciatevi andare a facili entusiasmi – aggiunge Ferraro – ora non servono le parole, servono i fatti».
Il movimento non chiede la restituzione dei quattro anni di blocco degli scatti stipendiali- blocco vigente anche per gli insegnanti a scuola, ad esempio – ma l’eliminazione del «mutuo perpetuo» sugli stipendi che porterà a eliminare ben cinque anni di carriera dal calcolo dell’anzianità di servizio. Questo significa pensioni più basse rispetto a quelle previste di diritto. Il blocco degli scatti e il «mutuo perpetuo» ai danni dei docenti universitari rientrano nella politica più ampia di tagli che ha colpito, con particolare efferatezza, la scuola e l’università tra il 2008 e il 2011: nove miliardi di euro in meno di finanziamento. A partire dal governo Monti, tutto il pubblico impiego è stato usato come un bancomat, per finanziare le politiche di austerità. I professori non fanno eccezione.
Un primo risultato lo sciopero sembra averlo ottenuto. La ministra dell’Istruzione e dell’università Valeria Fedeli ha promesso che troverà una soluzione entro metà dicembre, nella legge di bilancio. Dopo anni di muro di gomma – Ferraro aveva già raccolto 23 mila in 82 atenei nel 2016 – un governo ha risposto. Ma i docenti non si fidano e vogliono vedere i fatti. Nell’ultima settimana i prof hanno incontrato colleghi, studenti e il personale in assemblee di ateneo al Politecnico di Torino e Pisa (un incontro è previsto oggi al Polo Fibonacci, dalle 15) o a Roma 3. Accolta con diffidenza, ad esempio dagli studenti, i primi confronti sono andati oltre la rivendicazione sugli scatti e hanno affrontato il tema del rifinanziamento del diritto allo studio, l’assunzione di migliaia di nuovi ricercatori, nuovi investimenti pubblici per un sistema depredato.
Già nel luglio scorso, una parte maggioritaria dei sindacati e delle associazioni studentesche e dei ricercatori (Adi, Aipac, Andu, Crnsu, Flc Cgil, Link, Udu e Rete29aprile) aveva sollecitato il movimento dei docenti a trovare una agenda comune per la mobilitazione. Un appello rinnovato ieri da Francesco Sinopoli, segretario della Flc-Cgil, secondo il quale l’università «può diventare, come già accaduto con le mobilitazioni più importanti degli ultimi anni, un punto di riferimento per costruire un fronte ampio che abbia come primo obiettivo la legge di stabilità. Le risorse non possono andare ancora agli incentivi per le imprese la cui efficacia è nulla». Anche gli studenti hanno fatto appello al «fronte ampio»: «Questo sciopero si inserisce in un contesto drammatico – sostiene Andrea Torti (Link) – L’università ha perso più di un quinto di studenti, personale e docenti. La didattica ne è uscita dequalificata. Siamo pronti alla mobilitazione».
FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
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