Il grande esodo dalla Florida

Il grande esodo dalla Florida

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Il nuovo appello del governatore dello stato Usa “Via tutti, in fretta” E ora il ciclone sembra puntare la città di Tampa

NEW YORK. «Vi prego, lo so che pensate al traffico. Ma ne va della vostra vita. Dovete partire ora. Non fra un’ora o stasera: ora. L’ordine di evacuazione non può essere ignorato». A rendere chiarissime le parole pronunciate ieri in diretta tv dal governatore della Florida Rick Scott ci ha pensato l’interprete che al suo fianco le traduceva nel linguaggio dei sordomuti: strabuzzando gli occhi e cacciando fuori la lingua, in una performance già diventata un meme di internet.

La deadline, letteralmente la linea della morte, era ieri alle 12. Prima che i venti che già annunciano l’arrivo di Irma l’Atroce cominciassero a soffiare. L’uragano grande quanto la Francia sta per abbattersi sul Sunshine state, lo stato dove, in teoria, dovrebbe battere sempre il sole: e nessun posto è abbastanza sicuro.
Per questo è stato chiesto a 7 milioni di abitanti – il 30 per cento della popolazione che vive lungo le coste – di andarsene. «Pensate ai danni che ha fatto ai Caraibi, i venti a 300 chilometri orari e le onde altre 5 metri».
Poco importa che nel frattempo l’uragano sia stato declassato alla pur spaventosa categoria 4.
«Può riprendere forza » implora il governatore. «Andatevene ». Già: ma come fanno 7 milioni di persone – il doppio di quei 3.5 che nel settembre 1939 lasciarono Londra per paura dei bombardamenti aerei – ad abbandonare uno Stato che per conformazione geografica ha solo due autostrade principali: la I95 e la I75? E diretti dove, visto che l’uragano minaccia anche i vicini, dall’Alabama alla Carolina del Nord? «Abbiamo lasciato Miami per Tampa, sull’altro versante» racconta a Repubblica Joanna Soto, 38 anni. «Ora sembra che l’uragano stia cambiando direzione. Dicono che piomberà proprio su Tampa. Ma ormai è tardi per muoversi di nuovo».
Il più grande esodo all’incontrario della Florida, che invece alla direzione opposta del traffico attuale deve la sua ricchezza e fortuna, è iniziato due giorni fa. Quando centinaia di migliaia di persone, 650mila dalla sola Miami, hanno invaso le arterie principali dando il via a quella che – se i numeri saranno confermati potrebbe passare alla storia come la più grande evacuazione di massa d’America. E anche l’ingorgo più lungo, un serpentone di 180 chilometri d’autostrada fatta a passo d’uomo. «Un fiume di luci rosse» lo descrive Rosanne Lesack alla Cnn. «Siamo partiti per Atlanta giovedì. E per fare un viaggio che si fa in 5 ore ce ne abbiamo messe 12, anche a causa dei tanti in strada senza benzina ». Un incubo nell’incubo, quello dei rifornimenti. Anche se venerdì il governatore Scott ha ottenuto nuove riserve e riaperto le stazioni di servizio per qualche ora: con le cisterne scortate dall’esercito per impedire che venissero prese d’assalto.
«Volevo prendere un volo per New York ma era tutto pieno. Ne ho trovato soltanto uno per Toronto: l’ho preso» ci racconta Fabio Moretti, tra i fondatori dei saloni internazionali Contesta Rock Hair a Miami Beach. Perché a essere intasata è anche la via del cielo. A migliaia si sono riversate negli aeroporti sperando in un last minute nonostante gli appelli su Twitter: «L’aeroporto non è un rifugio. Non venite senza biglietto». Sedici voli aggiunti venerdì hanno portato via “appena” 3600 persone.
D’altronde c’è chi teme che in uno Stato dove il 72% della popolazione parla lingue alternative all’inglese gli appelli finiscano “lost in translation”, non comprensibili a tutti. Tanto che la Croce Rossa ha chiesto ai volontari di Translators without Borders di tradurre in tempo reale tweet e post d’emergenza in 5 lingue. Nel caso, insomma, che agli ultimi scettici la lingua della paura dell’interprete del governatore non sia bastata.

Fonte: ANNA LOMBARDI, LA REPUBBLICA



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