La repressione dei Mapuche in Argentina, con annesso desaparecido

by Adolfo Pérez Esquivel* | 10 Settembre 2017 17:07

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La Conquista del deserto sembra continuare ai giorni nostri in Patagonia, con altre sembianze, ma identici obiettivi. Gli eredi del generale Roca continuano a marginalizzare, uccidere, perseguitare i popoli indigeni; a derubarli dei loro territori.

Nell’impunità più totale, il governo argentino viola la Costituzione nazionale, la Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale sui diritti dei popoli indigeni, la Dichiarazione delle Nazioni unite sui diritti dei popoli indigeni.

I popoli originari subiscono una violenza sociale e strutturale da parte del governo attuale, come di quelli che lo hanno preceduto; quando essi protestano e resistono all’espulsione dalle proprie terre, si risponde non con la ricerca di soluzioni e il rispetto, ma relegandoli nell’indigenza, reprimendoli, accusandoli di compiere atti di violenza e di essere legati a gruppi terroristici, rimproverando loro l’alleanza con i kurdi e gruppi guerriglieri. La campagna contro i Mapuche gode della complicità dei grandi mezzi di comunicazione, alleati del governo, di alcuni giudici e di funzionari nazionali e provinciali che favoriscono i grandi latifondisti, come Benetton, Lewis e Turner.

Quando i Mapuche reclamano i propri diritti, la risposta dello Stato è la repressione, non il dialogo. Facundo Jones Huala, un capo (lonco) mapuche, l’anno scorso è stato processato nella città di Esquel dal giudice federale Guido Otranto che ne ha ordinato la liberazione; ma, cosa inquietante, il tribunale era insediato nella caserma della Gendarmería Nacional.

Al ritorno dalla sua visita in Cile, dopo l’incontro con la presidente Michelle Bachelet, il presidente argentino Macri ha ordinato di incarcerare nuovamente Facundo Huala, su richiesta di Santiago del Cile che ne chiede l’estradizione. E così il lonco sarà giudicato ancora una volta per le stesse accuse per le quali era stato assolto, e si sta trattando la sua estradizione. È una violazione del diritto, perché nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato.

Il giovane artigiano argentino Santiago Maldonado, attivista a sostegno dei Mapuche e della liberazione di Facundo Huala, stava partecipando il 1 agosto a una protesta, violentemente repressa dalla Gendarmería Nacional. Alcuni testimoni hanno riferito che Maldonando è stato prelevato dalla polizia e caricato su una camionetta. A partire da questo momento nessuno sa più dove egli si trovi, e le autorità negano che le forze di polizia abbiano a che vedere con la sua sparizione.

La popolazione, le organizzazioni sociali e quelle dei diritti umani sono mobilitate. Vivo lo hanno preso e vivo lo rivogliamo, gridano in tanti, radunati sulla Plaza de Mayo, insieme ai fratelli e ai familiari di Santiago.

I grandi media, alleati del governo, cercano di incolpare i Mapuche e intanto mantengono un silenzio totale riguardo al latifondista Benetton che continua a comprare terre che appartengono alle comunità indigene.

Mentre sulla vicenda di Santiago si susseguono le manifestazioni pubbliche, in Argentina e all’estero, la Commissione provinciale per la memoria si è presentata come parte civile nella causa relativa alla sua scomparsa. Anche il Comitato delle Nazioni unite sulle sparizioni forzate esige spiegazioni sulla vicenda del giovane.

A oltre un mese dalla scomparsa di Santiago, la situazione è angosciante e la soluzione sembra lontana. Il governo continua a negare ogni addebito e cerca di giustificare l’ingiustificabile, usando la violenza contro i manifestanti a Plaza de Mayo, nascondendo i misfatti della Gendarmería, tancendo sulla sparizione del giovane artigiano.

Ci troviamo di fronte a un grave passo indietro nella politica dei diritti umani da parte del governo. Ma continua con forza la resistenza sociale, con la richiesta che Santiago ricompaia vivo, e che mai più la sparizione forzata di persone sia coperta dall’impunità.

*Nobel per la pace 1980

 

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