by Carlo Lania | 7 Settembre 2017 10:25
Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto parla di «sentenza scandalosa», che addirittura minaccerebbe «il futuro e la sicurezza dell’Europa» e promette: «Per noi la battaglia vera comincia adesso». Dietro a una reazione così dura c’è la decisione della Corte di giustizia europea di respingere i ricorsi presentati da Ungheria e Slovacchia contro i ricollocamenti dei richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia, come deciso nel 2015 dal Consiglio europeo. Budapest e Bratislava (che in due anni non hanno dato prova di grande solidarietà: la prima non ha preso neanche un profugo, la seconda appena 16) si sono opposte fin da subito ai ricollocamenti facendo ricorso alla Corte di Lussemburgo e sostenendo che la decisione della relocation sarebbe stata viziata da errori di carattere procedurale e che comunque non sarebbe stata utile a raggiungere il suo scopo, che era quello di aiutare Italia e Grecia, i due paesi messi più in difficoltà dalla crisi dei migranti del 2015. Motivazioni che nei giorni scorsi sono state respinte dall’avvocato generale della Corte e ieri anche dai giudici. Dura è stata la reazione anche della Slovacchia che attraverso il suo premier Robert Fico ha annunciato di non voler fare nessun passo indietro: «La nostra posizione sulle quote non cambia», ha confermato il premier. Soddisfazione, viceversa, è stata espressa dalle istituzioni europee e il commissarie Ue all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos ha avvertito i due Paesi ricorrenti che se «non dovessero cambiare il loro approccio» sui ricollocamenti, «dovremmo considerare l’ultimo stadio della procedura di infrazione, che consiste nel deferirli alla Corte di Giustizia».
Volendo si può considerare scontata la decisione assunta ieri dalla Corte di giustizia, ma non per questo è meno importante anche perché isola in Europa i paesi dell’Est, compresa la Polonia che è intervenuta nel corso del procedimento per sostenere la posizione di Ungheria e Slovacchia.
Il programma di ricollocamenti venne adottato dal Consiglio europeo nel settembre del 2015 e prevede la redistribuzione in due anni di 120 mila richiedenti asilo da Italia e Grecia agli Stati membri. Finora, però, i risultati sono stati alquanto deludenti. Quando mancano ormai pochi giorni alla fine del programma (salvo possibili proroghe), i dati forniti ieri dall Commissione europea dicono che in tutto sono stati ricollocati appena 27.695 migranti, 8.451 dall’Italia e 19.244 dalla Grecia. Un fallimento dovuto anche al fatto che resistenze ad accettare i rifugiati non sono arrivate solo dai paesi dell’Est. Non a caso nella sentenza i giudici di Lussemburgo non mancano di sottolineare come, tra i motivi che hanno determinato lo «scarso numero di ricollocazioni», ci sia anche «la mancanza di collaborazione di alcuni Stati membri».
Difficilmente il giudizio di ieri potrà smuovere Ungheria e Slovacchia, ma anche Polonia, repubblica Ceca e Romania, tutti paesi contrari ai ricollocamenti, dalle loro posizioni. Ma la decisione della Corte di Lussemburgo potrebbe adesso aprire nuovi scenari anche nella discussione in corso in Europa sulla riforma del regolamento di Dublino, che in teoria dovrebbe basarsi sul principio di una maggiore solidarietà tra gli Stati.
Per ora. comunque, l’Europa incassa la sua vittoria. «Ho sempre detto ai nostri partner dell’Europa orientale che era giusto chiarire la questione dal punto di vista legale. Ma ora ci aspettiamo che rispettino la decisione della Corte e implementino gli accordi senza ritardi», ha commentato il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel. Anche Manfred Weber, presidente all’Europarlamento del Ppe, gruppo del quale fa parte il partito del premier ungherese Viktor Orbán, plaude alla decisione dei giudici: «Ora – ha detto – c’è la possibilità di sanare la ferita aperta nell’Ue sulla politica migratoria».
FONTE:
IL MANIFESTO[1]Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/09/94421/
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