I migranti nei centri libici: «Un pane per cinque e unica acqua da bere nel wc»

by Rachele Gonnelli | 8 Settembre 2017 9:05

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NIGERIANA, FERMATA A TRIPOLI

Ho tre fratelli piccoli a casa e sono partita per loro. Prima stavo in un’altra prigione dove mi hanno portato gli Asmaboys (banda criminale ndr) che mi hanno catturata a Tripoli. Una settimana fa sono stata presa da un uomo libico che mi aveva detto che avrei lavorato per lui, io e altri tre uomini. Invece ci hanno portato qui, siamo stati venduti. L’Oim mi ha registrato qui con nome e foto. Non so cosa sarà di me in questo posto.

CAMERUNENSE, 28 ANNI

L’Oim ha registrato 160 nigeriani, 60 qui. Erano arrabbiati, alcuni sono stati consegnati ai contrabbandieri libici. Se paghi mille dinari libici ti rilasciano. Loro (l’amministrazione del centro di detenzione ndr) ti fanno credere che tutti vengono soccorsi in mare. Vanno per le strade e ci catturano. Ci sono sistemi paralleli, ogni guardia ha una sua attività, hanno collegamenti con i contrabbandieri. Se non hai amici tra le guardie non puoi telefonare alla famiglia perché paghi per il rilascio ndr). Se passi informazioni alle guardie, su persone che si comportano male o vogliono fuggire, cose così, allora puoi chiamare. Gli europei ci hanno preso tutte le risorse dei nostri paesi e ora che cerchiamo di andare in Europa per sopravvivere non ci vogliono far entrare. Ho cercato di avere un visto per il Canada, dopo due anni e tanti soldi ancora non l’ho ottenuto.

DONNA IVORIANA, 27 ANNI

Siamo stati arrestati per strada, portati in prigione e venduti. Una volta l’Oim ci ha fatto visita, la guardia dietro il funzionario dell’Oim ci ha fatto segno che ci avrebbe massacrato (se avessimo parlato ndr). Le guardie dicono che ci rimpatriano solo per sbarazzarsi della Mezzaluna Rossa e delle ong. In realtà ci vendono. Le donne vengono convinte a prostituirsi, ti prendono per la notte e al mattino ti restituiscono in prigione. I detenuti per un rapporto sessuale, consenziente o no, pagano cinque dinari. Le guardie dicono «taa’li» (vieni, in arabo ndr) e tu sai cosa aspettarti. Ti minacciano con le armi, ti picchiano. Una volta i detenuti maschi volevano impedire che le donne fossero portate via e sono stati picchiati. Ci sono ragazze ancora lì perché non hanno nessuno che paghi per il loro rilascio, quindi devono lavorare uscendo la sera. Dipende quanto paga il cliente. Un libico ci ha comprato, voleva 550 euro a testa per rilasciarci. Visto che non avevamo tanti soldi ci ha venduto a un altro libico.

UOMO DEL BANGLADESH, 28 ANNI

Ho passato 15 giorni in una cella accanto a quella delle donne, è stato orribile: nessun bagno, non mi hanno dato cibo per tre giorni e poi solo una pagnotta al giorno che ci veniva consegnata dai neri (detenuti con compiti di guardia ndr), nient’altro. L’unica acqua era quella del wc, eravamo in 19 nella cella e quattro si sono ammalati. Non so se sono ancora vivi. Ho una stanza a Tripoli dove sono i regali per mia moglie e a miei figli quando tornerò, potete aiutarmi a uscire?

MALIANO, 28 ANNI

Viaggiavo su un pick-up e mi hanno catturato. Prima di portarmi in prigione mi hanno preso tutto. La settimana scorsa qui sono venuti quelli dell’ambasciata della Guinea, non sappiamo perché. Ci picchiano senza motivo con bastoni e fruste. Se fai rumore, se chiedi acqua, se ti scappa la pipì, ti picchiano. Ti danno razioni da due per cinque. Se non hai denaro non puoi chiamare la famiglia. All’arresto alle 2 di notte sono entrati uomini armati col passamontagna. Hanno rufolato e preso tutto ciò che avevamo.

DONNA DEL CAMERUN 25 ANNI

Sono qui da tre mesi, prima vivevo in Algeria con due miei fratelli più grandi, lavoravo come babysitter. Ora sono incinta di otto mesi, il padre del bambino è rimasto in Algeria. Il 5 settembre volevo andare in Italia e sono partita in autobus per Tripoli. Il bus ci ha sceso in una grande casa dove uomini e donne sono stati separati, eravamo circa 50. Siamo stati lì cinque giorni. Un mattino ci hanno detto che saremmo partiti a mezzanotte. Sulla barca eravamo in 100, tutti e 50 quelli della grande casa e altri. Ma la bussola era rotta e andavamo in tondo. Dopo dieci ore è arrivata la polizia in uniforme su una barca della polizia, erano violenti, ci insultavano anche se io capivo poco o niente. Ci hanno fatto sbarcare a Zuwara dove ci hanno contato e lì mi hanno picchiata sul polso con un bastone. Non ho più passaporto ma mio fratello ha un amico a Tripoli, ho il suo numero, potete aiutarmi a uscire?

FONTE: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO[1]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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