Mario Draghi tiene duro sul Quantitative easing

Mario Draghi tiene duro sul Quantitative easing

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Banca centrale europea. Stop alle pressioni tedesche, una decisione sul programma di acquisti arriverà solo «in ottobre»

Chi si aspettava una decisione sul Quantitative easing dovrà attendere: il presidente della Bce Mario Draghi per il momento tiene duro, e resiste agli «attacchi» dei falchi – capeggiati dai tedeschi – che avrebbero preteso già qualche parola sulla fine del programma di acquisti. Si è rassegnato, però, il governatore dei governatori a non portare l’Europa a quel 2% di inflazione che si era prefissato: si arriverà massimo all’1,5% nei prossimi due anni, e per vedere l’agognato target bisognerà aspettare almeno il 2020, quando lui avrà già lasciato la poltrona. Ma intanto c’è da tenere d’occhio il rafforzamento dell’euro, e un ruolino di marcia per la conclusione del Qe si avrà solo «in autunno», cioè alla prossima riunione del board della Banca centrale europea, il 26 ottobre.

IL CONSIGLIO DIRETTIVO della Bce ha dunque, a questo giro, lasciato tutto invariato, rispettando le previsioni. Tassi al minimo storico e «bassi a lungo», avanti con gli stimoli monetari al ritmo di 60 miliardi al mese fino a dicembre («o anche oltre se necessario»), confronto su eventuali cambi di rotta, come già detto, solo «in autunno». La Germania, sotto elezioni, spesso con il presidente di Deutsche Bank, Jens Weidmann, e ancora alla vigilia del board, con il ministro delle Finanze, Wolgang Schaeuble, aveva fatto sentire la sua voce invocando l’inversione di rotta. Che non c’è stata.

Sul futuro del Quantitative easing, ha riferito Draghi, il consiglio direttivo della Bce ha discusso «vari scenari riguardanti la lunghezza e la dimensione dei flussi mensili di acquisti di titoli», e «si è trattato di una discussione molto preliminare», ha precisato il presidente, ribadendo che «la parte preponderante delle decisioni sul Qe sarà presa probabilmente a ottobre». È vero che l’ultima riunione utile sarebbe a dicembre, ma tutti gli analisti sono concordi nel ritenere che per quanto Draghi abbia rinviato, non possa però lasciare i mercati in attesa ulteriormente.

IL RAFFORZAMENTO dell’euro – che ha sfondato la soglia psicologica degli 1,20 dollari proprio mentre Draghi parlava alla stampa – è un elemento in più che spinge alla cautela: un fattore «di preoccupazione» strettamente monitorato, ammette il timoniere della Bce, che non vuole contribuire, con le sue manovre di politica monetaria, a rallentare le esportazioni europee e dunque la stessa ripresa. Un occhio attento, dunque, ai fondamentali: per quanto riguarda l’inflazione, la Bce si aspetta un 1,5% quest’anno, un 1,2% nel 2018 (dalla precedente stima all’1,3%) e un 1,5% nel 2019. Per il Pil, è prevista una crescita del 2,2% quest’anno (dall’1,9% stimato in giugno), 1,8% nel 2018 e 1,7% nel 2019 (entrambe confermate).

Quanto all’obiettivo del 2% di inflazione, come anticipato, Draghi ormai lo proietta a un futuro non prossimo: «Penso nel 2020», ha detto. Il suo mandato scade il 31 ottobre 2019, e Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble – posto che vincano le elezioni – intenderebbero proporre Jens Weidmann per la successione, in modo da riprendere saldamente in mano tedesche il controllo della politica monetaria europea.

UNA BATTUTA, Draghi l’ha riferita anche a chi ipotizza una doppia circolazione valutaria: «Nessun Paese può introdurre una propria moneta. La moneta dell’eurozona è l’euro», ha risposto a una domanda sulla decisione del governo estone di varare una propria valuta «digitale» – sul modello di Bitcoin – la «Estcoin». Il presidente Bce si è anche rifiutato di commentare le ipotesi – fatte circolare in Italia – sul possibile varo di una seconda valuta, destinata alla circolazione interna.

Insomma, difesa a spada tratta della sua creatura, il Qe – «non ne vediamo effetti negativi» – e una decisa fiducia nella crescita, che secondo Mario Draghi rimane «solida e ben diffusa».

FONTE: Antonio Sciotto, IL MANIFESTO



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