Dondé está Santiago Maldonado?
Chissà cosa aveva spinto Santiago Maldonado ad andare nel campo Mapuche di El Bolsòn, nell’enorme tenuta di proprietà della famiglia Benetton. Cosa avrà pensato tentando di sfuggire alle guardie che il 1 agosto scorso attaccarono il campo per interrompere un blocco stradale sulla Ruta 40 organizzato dai Mapuche per chiedere la restituzione delle terre che loro spettano?
Da allora di lui non si sa nulla. La sua storia evoca fantasmi del passato prossimo e remoto, memoria tenuta viva dalle Madres e dalle Abuelas de Plaza de Mayo contro le quali il presidente Macri da tempo è impegnato in un braccio di ferro. Parlare di desapariciòn in Argentina riapre ferite mai sanate, non a caso la ministra della sicurezza Bullrich ha tentato di smentire che Santiago possa essere considerato un desaparecido.
LE IPOTESI SULLA SUA scomparsa si rincorrono. Intanto si moltiplicano nel paese le manifestazioni di protesta, che ieri l’altro hanno portato in piazza decine di migliaia di persone con grave tensione e scontri a Buenos Aires.
Un caso nazionale ormai, causa di grande imbarazzo per Macri ed il suo governo. Sullo sfondo quella che Anibal Quijano chiamerebbe colonialidad del poder. Secondo il rapporto per il 2016 dell’Iwgia (International Working Group on Indigenous Affairs) in Argentina vivono circa 600mila persone che si riconoscono discendenti o appartenenti ad un popolo indigeno, e 35 popoli indigeni riconosciuti.
Nel 1945 l’Argentina aveva riconosciuto l’esistenza di popolazioni indigene, mentre nel 1985 venne emanata legge 23.302 sulla «politica indigena ed il sostegno alle comunità aborigene».
La riforma costituzionale del 1994 riconobbe la pre-esistenza etnica e culturale dei popoli indigeni, ed il possesso e la proprietà comunitaria delle terre tradizionalmente occupate. La legge 26.160 approvata nel 2006 proibisce lo sfratto forzato di comunità fin quando non vengano effettuate le necessarie ricerche per definire se tali terre siano effettivamente ancestrali.
Oggi si discute se o meno prorogarla: se non lo fosse sarà più facile «ripulire» ogni territorio per favorire gli interessi dei grandi capitali.
IN CAMPAGNA elettorale Macri si era impegnato a riconoscere i diritti dei popoli indigeni, incontrandone i leader una settimana dopo la sua elezione. Pochi giorni dopo il suo insediamento avrebbe però fatto passare una legge disegnata a proposito per favorire gli interessi delle grandi multinazionali e delle oligarchie del grande latifondo.
La colonialidad del poder passa anche attraverso la rimozione della storia passata, nel tentativo di costruire un’immagine di nazione bianca, occidentale, civilizzata, e come si sa la legalità è spesso questione di potere, non di giustizia.
Così, seppur sulla carta l’Argentina riconosca i diritti dei popoli indigeni, le cause legali contro i leader indigeni godono di corsie preferenziali, mentre quelle intentate dalle comunità a tutela dei propri diritti languono – a parte alcune eccezioni – negli archivi.
Ad oggi i Mapuche sono riusciti comunque a «recuperare» il diritto a 250mila ettari delle loro terre, e forse per questo si è inasprita la campagna di criminalizzazione dei loro leader, tra cui Facundo Jones Huala leader della comunità in resistenza (“lof”) del Cushamen, oggi in carcere.
Vengono accusati di connessioni con l’Isis, con l’Eta, con le Farc, di voler creare uno stato Mapuche indipendente. Il caso della comunità di El Bolsòn al cui fianco era accorso Santiago affonda – come gli altri – le radici nella storia passata. Si deve risalire al decennio del 1870 quando nel corso della “campagna del deserto” le forze armate comandate del generale Julio Argentino Roca massacrarono ed espulsero le popolazioni indigene della Patagonia. L’ultimo gruppo di 3000 indigeni ribelli si arrese in quella che oggi è la provincia del Chubut.
PROPRIO DOVE Santiago è sparito, nelle terre di proprietà del gruppo Benetton, oggi considerato, con 844.200 ettari nelle provincie di Buenos Aires, Neuquén, Chubut, e Santa Cruz il principale proprietario terriero dell’Argentina, attraverso la Compañía de Tierras Sud Argentino S.A. (Ctsa).
Benetton possiede attraverso la compagnia Minsud anche 80mila ettari di concessioni minerarie nelle province di San Juan, Rio Negro Chubut e Santa Cruz. Nel 2007 la comunità di Santa Rosa di Leleque riuscì ad ottenere un’ingiunzione per la restituzione di 625 ettari di proprietà della Compagna de Tierras Sud Argentino tra Esquel e El Bolsòn. Nel 2014 proprio grazie alla legge 26.160 venne riconosciuto alla comunità Mapuche il diritto alla proprietà ancestrale.
UN’ALTRA ISTANZA di restituzione fu emanata nel marzo 2015 a Leleque sempre di proprietà del gruppo Benetton. Una delle argomentazioni usate dai Benetton per negare la fondatezza delle legittime richieste di restituzione delle terre da parte delle popolazioni Mapuche è che questi non sarebbero originari di quelle terre e che loro invece avrebbero diritto per i titoli di proprietà in loro possesso.
Il conflitto si protrae da anni, con un picco nel gennaio scorso quando la polizia chiamata (come spesso è avvenuto) dalla Ctsa intervenne duramente nel Lof catturando il leader Facundo Jones Huala.
La famiglia Benetton, tentò in passato di placare la controversia annunciando la donazione di alcune terre, ma i Mapuche non accettarono, reclamando giustamente il diritto ancestrale di proprietà, essendo stati cacciati via con le armi nel lontano 1870.
NON A CASO la Ctsa ha molti scheletri nell’armadio. Originariamente costituita a Londra nel 1889 come “The Argentinian Southern Land Company ltd” amministrava per conto di grandi latifondisti inglesi le terre che avevano ottenuto come contropartita per il sostegno dato da Londra alla Conquista del deserto.
Fantasmi del passato, della desapariciòn, del genocidio, quel buco nero nella storia, nel quale oggi sembra inghiottito Santiago Maldonado. Chissà se lui, artigiano-attivista con i dreadlocks poteva immaginare tutto ciò.
***
Rabanal «Vignette per Santiago»
Daniel Rabanal il vignettista della campagna per Maldonado, fu arrestato poco prima del golpe del 1976 ma fortunatamente registrato dalla polizia, a differenza dei desaparecidos, ha avuto per questo salva la vita: Amnesty sapeva e seguiva la sua sorte. Sono stati 8 anni di torture, botte, finte esecuzioni. Anche la prima moglie era stata arrestata ma uccisa dopo molte violenze.
Alla fine della dittatura, il governo Alfonsin concede carta e matite ai carcerati sopravvissuti. E quando si decide l’amnistia di militari e detenuti politici nel 1984, viene rilasciato. Si trasferisce allora a Bogotà, in Colombia, dove diviene l’Altan locale per la rivista Semana, e con i suoi personaggi di fantasia, che si muovono nella Colombia di Pablo Escobar.
Qui si è sposato e ha lavorato per 20 anni. Nel 2009 è tornato a Baires dove vive e disegna. Ha pubblicato molti libri illustrati e nel 1996 è stato invitato al Salone del fumetto di Lucca. Conoscendo la metà delle sue radici: due nonni sono infatti di Sala Consilina in Campania.
FONTE: Francesco Martone, IL MANIFESTO
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