Piano d’azione europeo sulle droghe. Avanti adagio
Che non potesse essere una rivoluzione lo si sapeva: il Piano d’azione (PA) europeo sulle droghe 2017-2020 (disponibile sul sito fuoriluogo.it) è vincolato alla Strategia Europea varata nel 2013, che non è particolarmente innovativa rispetto all’approccio globale sulle droghe, e lo scenario è segnato da profonde differenze tra gli Stati membri. Prudenza e mediazione è la legge che governa il processo di redazione del Piano.
Tuttavia questo nuovo Piano d’azione contiene alcune novità. Ne scrivo come delegata di Forum Droghe al Civil Society Forum on Drugs (CSF), organo consultivo della Commissione Europea, e leggo dunque il testo finale partendo da ciò che come CSF abbiamo richiesto: nel processo di valutazione del Piano precedente, infatti, condotto da due agenzie indipendenti, il CSF ha potuto esprimere critiche e proporre cambiamenti, e questo è un primo dato positivo. Alcuni input sono stati accolti, altri no.
Vediamo luci ed ombre.
Avevamo posto con forza (con non poche difficoltà interne, il CSF include tutti gli orientamenti, anche quelli iperproibizionisti) la questione della decriminalizzazione del consumo, è passato invece un obiettivo limitato allo sviluppo di sanzioni alternative al carcere, che tuttavia invita a considerare la detenzione come estrema ratio e introduce indicatori relativi allo sviluppo delle pene alternative, cui tutti gli Stati membri devono attenersi.
Ancora sul fronte delle politiche, avevamo chiesto un impegno a valutare sistemi alternativi al proibizionismo, citando quanto sta accadendo sulla cannabis e criticando il fatto che i documenti istituzionali dell’Unione Europea non li avessero mai considerati: non pretendevamo che in sede di PA si annunciasse la legalizzazione… ma almeno che vi fosse un impegno a cominciare a lavorarci.
La risposta è parziale, ma rappresenta un primo passo: il Piano dà incarico al EMCDDA di «fornire un aggiornamento del panorama 2017 della legislazione sulla cannabis nell’Ue nonché continuare a monitorare e riferire riguardo alle legislazioni sulla cannabis a livello nazionale e nei paesi terzi». Più che prudente… ma è pur sempre la prima volta che si apre il capitolo «regolazione legale» a livello comunitario istituzionale.
Riduzione del danno (RDD): come CSF era stata espressa una dura critica alla mancata implementazione delle raccomandazioni in materia del precedente Piano, e ai mancati investimenti in molti dei Paesi membri. Il nuovo Piano appare più incisivo nel porre la RDD tra gli approcci necessari e non accessori, infatti cita in maniera esplicita, oltre ai servizi più consolidati, anche la distribuzione del naloxone, le stanze del consumo, il drug checking e il lavoro nei setting naturali di uso, e soprattutto include – ma questa è una positiva scelta trasversale a tutto il documento – indicazioni precise su monitoraggio, valutazione e standard minimi.
Infine ma non ultimo, il ruolo delle associazioni della società civile nei processi sia a livello comunitario che nazionale, che si fa meno vago, con la definizione di ambiti specifici e la centratura sulle politiche e non solo sui singoli interventi: «Promuovere e intensificare il dialogo con la società civile e la comunità scientifica, e la partecipazione delle stesse alla definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione delle politiche in materia di droga a livello di Stati membri e di Unione Europea».
Per l’Italia, è un indirizzo da far valere, dato che almeno da dieci anni su questo fronte siamo a zero. La richiesta, ribadita anche con un atto di diffida al Governo, di convocazione della Conferenza nazionale appare ancor di più, alla luce del PA, un punto discriminante.
FONTE: Susanna Ronconi, IL MANIFESTO
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