by VALENTINA CONTE | 28 Agosto 2017 8:28
ROMA. C’è una misura obbligata: la rivalutazione delle pensioni all’inflazione. Un’altra auspicata: il potenziamento dell’Ape sociale. E la carta coperta: l’aumento degli assegni ai pensionati poveri. Sarà difficile per il governo ignorare le spinte del Pd sulla previdenza. E non solo per ragioni elettorali.
Qualcuno in queste ore, all’interno del partito, rispolvera già il vecchio piano di Renzi premier: 40 euro al mese in più ai pensionati incapienti, quattro milioni di italiani sotto la soglia degli 8 mila euro di reddito annuo. Spesa preventivata, all’epoca: 2 miliardi. Tanti, forse troppi. Ma non si sa mai, dovessero spuntare tesoretti nella prossima legge di Bilancio, è il ragionamento.
La mossa sarebbe di sicuro impatto. E non è l’unica. Anche l’adeguamento delle pensioni al costo della vita — che verrà sollecitato dai sindacati già mercoledì nell’incontro con il governo — dopo anni di digiuno, sarebbe considerato come acqua nel deserto. Gli assegni sono ormai fermi da anni (e nel recente passato hanno rischiato tagli, poi sterilizzati, per colpa dell’inflazione negativa). Il governo Berlusconi-Tremonti bloccò nel 2011 la rivalutazione per quelli medio-alti. La Fornero, governo Monti, estese lo stop a tutti. Infine il governo Letta ripristinò la rivalutazione, ma solo per gli importi più bassi e introducendo le fasce. Meccanismo poi bocciato dalla Consulta. Che costrinse il governo Renzi a correre ai ripari, restituendo l’una tantum della discordia. Con alti lai dei pensionati, beffati da cifre a loro dire ridicole. Non ci fu modo poi di recuperare il rapporto nemmeno con gli 80 euro: la categoria ne rimase esclusa.
Poi però, un anno fa, Renzi cala gli assi vincenti: Ape per andare in pensione prima, quattordicesime più abbondanti, no tax area ampliata (zero tasse per un numero maggiore di pensionati). Trovando un riscontro nel voto referendario di dicembre, con molti anziani schierati per il sì alla nuova Costituzione. E ora che si fa? L’inflazione del 2018 potrebbe viaggiare verso l’1,5%. La legge prevede l’adeguamento automatico. Tra l’altro i sindacati chiedono che sia considerato un paniere diverso da quello generale dell’Istat per calcolare “l’inflazione degli anziani”, che lamentano un carrello della spesa rincarato, ben più di quanto emerga dai dati nazionali.
«Pensioni e lavoro per i giovani debbono camminare a braccetto perché sono complementari », sintetizza il “pasionario” delle pensioni, Cesare Damiano, presidente pd della commissione Lavoro della Camera. «Alcune resistenze del governo sull’inserimento del tema della previdenza nella prossima legge di Bilancio paiono per fortuna in via di superamento», tranquillizza. Il menù di Damiano è forse più ampio di quanto potrà essere raccolto dal governo Gentiloni. Ma riflette i desiderata di molti nel Pd: la pensione di garanzia per i giovani, il rifinanziamento e potenziamento dell’Ape sociale (il meccanismo pagato dallo Stato per andare in pensione prima) e delle misure per i lavoratori precoci, il bonus donne, riconoscendo loro i contributi per il lavoro di cura. E il rialzo dell’età di uscita a 67 anni nel 2019 che Damiano (con Sacconi) vorrebbe fermare per tutti. Ma che, semmai entrerà nel menù della finanziaria, sarà bloccato solo per i giovani neoassunti, per chi ha iniziato a lavorare da minorenne e per chi fa mestieri molto pesanti. Sempre che l’Europa si convinca.
Fonte: VALENTINA CONTE, LA REPUBBLICA[1]
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