BRIANÇON. I fanali del furgone della Gendarmerie ci illuminano all’improvviso, quando la strada del colle della Scala sta iniziando a scendere verso la vallée de la Clarée. Siamo a più di 1.700 metri, siamo in Francia da alcuni chilometri e camminiamo da più di 4 ore. Su questi sentieri più di settant’anni fa ci passavano i partigiani, italiani e francesi, che avevano organizzato la Resistenza e che cercavano di far fuggire ebrei e rifugiati politici.
Siamo in quattro. Moussa e Fanny, trentenni della Costa d’Avorio, e Alì, 62 anni, partito dalla Tunisia alcuni mesi fa e arrivato in Italia con i barconi. Alì ha una gamba di legno e dopo ore di camminata su un sentiero di montagna, che nessuno di loro aveva mai visto prima(a illuminarci la via solo gli smartphone e le stelle), non ce la faceva più: «Sono queste pietre a tradirmi» spiega mentre lo tiriamo su dopo l’ennesima caduta. Così abbiamo deciso di tornare sulla strada. Il presidio fisso dei gendarmi è molti tornanti più in basso. Si posizionano già in territorio francese, al bivio tra Valle Stretta e Colle della Scala, e da lì respingono i migranti che provano a lasciare l’Italia da Bardonecchia, in Valsusa. Sono almeno 4 i sentieri buoni, i migranti li scoprono grazie al passaparola, ma anche all’aiuto dei valligiani che indicano loro le vie più percorribili. Sono preti, attivisti politici, volontari della Caritas e operatori del terzo settore: «Molti cittadini li nascondono, li proteggano e li portano fino a Briançon, dove si rifugiano nel centro di accoglienza. Qui per ora i gendarmi non sono mai venuti» racconta Michel Rousseau della rete Tous Migrant. Una delle vie porta in valle Stretta: qui i preti italiani che gestiscono un rifugio già in territorio francese danno loro da mangiare. «Da qui si deve camminare ancora 5 ore e si può raggiungere Modane, dove per la grande presenza di francesi di origine straniera, i gendarmi faticano a controllare chi ha il permesso di soggiorno e chi no» conferma don Claudio. Gli altri sentieri permettono di valicare il colle della Scala e portano verso Nevache e Plampinet, i primi comuni della regione Hautes-Alpes, dove le comunità locali danno supporto ai migranti. Per un paio di volte, da quando abbiamo ripreso la carrabile, ci siamo dovuti nascondere tra gli alberi per evitare che le volanti che scendono verso il presidio e controllano la strada ci vedessero. L’una è passata da un po’ quando veniamo fermati. I gendarmi accendono le luci e ci ordinano di non muoverci. Scappare per Alì è impossibile e così anche noi restiamo fermi. Appena una settimana fa, un chilometro più sotto, una coppia di migranti è precipitata, avevano visto i lampeggianti della polizia e scappando sono caduti in un burrone per 40 metri. Il più grave è in coma a Grenoble e non si sa se ce la farà.
Da quando la neve, alla fine della primavera, si è sciolta e il colle della Scala è stato riaperto, questo confine tra Italia e Francia in Valsusa è diventato uno dei pochi passaggi ancora percorribili per i migranti che vogliono lasciare il nostro Paese. Anche da quando il presidio fisso è statorafforzato dai francesi, che monitorano tutta la montagna con i visori notturni, con il buio sono più di un migliaio le persone che sono riuscite a passare.
Al Crs, Collettive refuge solidaire, il centro d’accoglienza aperto in una ex caserma della Compagnies Républicaines de Sécurité (di cui ha ironicamente mantenuto il nome) poco lontano dalla stazione di Briançon, dal 25 luglio, sono transitati 400 migranti. Tutti erano partiti dall’Italia, arrivati in treno a Bardonecchia e da lì saliti sulle montagne. «La cosa folle è che in questo momento è solo l’Italia a farsi carico dell’accoglienza» ragiona Luc Marchello, direttore del Mjc, l’associazione che gestisce il Centro di accoglienza e orientamento dei migranti, aperto dal 2003 con sede a fianco del Crs. C’è un contrasto tra Stato francese e istituzioni locali. Il prefetto aveva ordinato di chiuderlo, ma il sindaco di Briançon, Joël Giraud, che aveva concesso i locali, si è opposto. Qui organizzano gli spostamenti dei ragazzi dal colle verso il Crs. I profughi vengono accompagnati, sempre tramite la rete solidale, anche nelle grandi città, dove possono fare richiesta d’asilo. «La cosa assurda è che i gendarmi se li fermano non gli danno la possibilità di fare la richiesta, ma li riportano in Italia anche qui alla stazione di Briançon » aggiunge Joel Pruvot, attivista del Crs. Alì, Moussa, Fanny, al Crs non ci sono arrivati, almeno non l’altra notte. I gendarmi ci perquisiscono, prendono i documenti e portano allo sbarramento 4 chilometri più sotto. Qui veniamo affidati ad altri poliziotti che si mettono in contatto con i loro i superiori a Monginevro. I profughi vengono interrogati: «Avete pagato per essere accompagnati lassù? Che strada avete fatto?» domandano i gendarmi. Vogliono capire se il cronista sia un passeur. Un italiano può camminare per quei boschi, anche di notte, ma se con lui ci sono dei migranti la polizia francese può incriminarlo per favoreggiamento all’immigrazione clandestina: «Se li si porta in auto l’arresto è sicuro, ma così è complicato » spiega il capo della pattuglia. Alla fine decidono che non ci sono elementi per l’arresto e attorno alle 4 ci riaccompagnano tutti al confine. Alì, Moussa, Fanny con un verbale di “respingimento”. Dietro di noi camminava un altro gruppo, non ci ha mai raggiunto. Loro, forse, sono arrivati alle case di chi protegge gli unici cui è vietato attraversare un confine che era stato cancellato da tempo.
Fonte: JACOPO RICCA, LA REPUBBLICA