Israele/Palestina. Abu Mazen sempre più solo, gli Usa negano il sostegno ai “Due Stati”
GERUSALEMME. I colloqui per il «rilancio del negoziato israelo-palestinese» tra la delegazione Usa guidata dal consigliere e genero di Trump, Jared Kushner, e il premier Benyamin Netanyahu e, qualche ora dopo, con il presidente palestinese Abu Mazen, si sono svolti mentre la stampa rivelava che 3500 case per coloni israeliani sono state costruite su terreni privati palestinesi e che saranno tutte legalizzate dalla legge-sanatoria approvata a inizio anno se la Corte suprema non accoglierà il ricorso dei proprietari. Una notizia che ha reso ancora più vuota la rassicurazione che Kushner ha dato su Donald Trump «molto impegnato» a raggiungere la pace fra israeliani e palestinesi.
Kushner è arrivato a Gerusalemme mercoledì sera proveniente dal Cairo, assieme all’inviato per il processo di pace Jason Greenblatt e al consigliere di sicurezza nazionale Dina Powell. Oggi la delegazione rientrerà a Washington e nessuno ha capito che cosa abbia proposto o ottenuto in giro per le capitali di mezzo Medio Oriente. Alla luce della distanza siderale tra Netanyahu e Abu Mazen, Kushner potrebbe aver detto ai leader arabi alleati di spingere il presidente palestinese a tornare senza condizioni al tavolo delle trattative e che, vista l’opposizone sempre più evidente di Netanyahu e del suo governo di estrema destra ai “Due Stati” (Israele e Palestina) occorra pensare a soluzioni che non contemplino la piena indipendenza palestinese. Due giorni fa la portavoce del Dipartimento di Stato, Heather Nauert, citata dal giornale Times of Israel, si è rifiutata di ribadire l’appoggio americano ai “Due Stati”. «Non vogliamo dire quale debba essere l’esito. Deve funzionare per le due parti», ha spiegato Nauert.
Così mentre un Netanyahu forte del sostegno della Casa Bianca proclamava ieri che la pace con i palestinesi è «alla nostra portata», Abu Mazen sembra aver capito che se non è riuscito a ricavare nulla dall’Amministrazione Obama meglio disposta (ma solo in apparenza) nei confronti dei palestinesi, non potrà certo ottenere la fine dell’occupazione militare e la libertà per la sua gente dall’Amministrazione Trump che ha al suo interno funzionari, consiglieri, ministri e lo stesso presidente che appoggiano la destra israeliana più nazionalista. Abu Mazen si è lamentato dell’atteggiamento Usa anche con una delegazione del partito israeliano Meretz a cui ha riferito di aver incontrato una ventina di volte esponenti dell’amministrazione Trump ma di non aver capito quale sia la loro posizione.
Stando alle indiscrezioni Abu Mazen vorrebbe riprendere la campagna internazionale per il riconoscimento della Palestina come membro pieno delle Nazioni Unite e denunciare Israele alla Corte Penale Internazionale dell’Aia. Ed è tornato anche a minacciare la fine all’Autorità nazionale palestinese. Della dissoluzione della propria struttura di governo discute anche Hamas, in risposta al blocco di Gaza da parte di Israele ed Egitto e alle sanzioni deise da Abu Mazen per costringere il movimento islamista a rinunciare al controllo della Striscia. Il 15 agosto Khalil al Hayya, il numero due dell’ufficio politico, ha confermato che è allo studio il «trasferimento» di Gaza all’ala militare di Hamas, le Brigate Ezzedin al Qassam, e ai gruppi armati degli altri partiti e la rinuncia alla gestione dei servizi per la popolazione civile. «In sostanza – ha spiegato al manifesto il giornalista Aziz Khalout – Hamas vuole creare un vuoto politico e lasciare davanti agli occhi di Israele, Egitto e Abu Mazen una Gaza nel “caos”, fuori controllo, in cui detterà legge chi impugnerà in pubblico un’arma e dove nessuno garantirà, come il movimento islamico ha fatto in questi ultimi tre anni, la calma lungo le frontiere con Israele ed Egitto».
Questa misura estrema, spiega Kahlout, rappresenta anche una risposta all’inconsistenza dei negoziati tra Hamas e l’Egitto, in corso da mesi e mediati da Mohammed Dahlan, un avversario di Abu Mazen, per il miglioramento delle condizioni di Gaza. La recente decisione egiziana di riaprire il valico di frontiera di Rafah su base regolare a partire da settembre vuole indurre Hamas a riconsiderare un passo che potrebbe innescare una nuova guerra.
FONTE: Michele Giorgio, IL MANIFESTO
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