by Gina Musso | 23 Agosto 2017 9:57
Una persona in stato di arresto e altre tre indagate. È il contributo marocchino all’inchiesta e alle operazioni di polizia dopo i fatti di Barcellona e Cambrils.
A finire in manette a Oujda, non lontano dal confine algerino, è stato Nourine Oukabir, cugino di Moussa Oukabir, uno dei membri del gruppo che ha architettato gli attentati, ucciso in seguito dalla polizia spagnola, nonché di Driss Oukabir, un altro appartenente alla cellula che figura invece tra gli arrestati.
L’arresto sarebbe avvenuto il 20 agosto, lo stesso giorno in cui il re del Marocco , Mohammed VI, concedeva la grazia, o meglio il «perdono reale» a 415 persone, di cui 343 in carcere. Tra queste ci sono anche 14 condannati per «terrorismo» che hanno partecipato al programma Mossalaha (riconciliazione), tutti con condanne inferiori a 30 anni tranne uno, condannato a morte.
Quanto al terzo membro della famiglia Oukabir coinvolto nella strage catalana, il 35enne per il quale viceversa si sono aperte le porte del carcere in quelle stesse ore, sarebbe accusato di «apologia del terrorismo».
Secondo gli inquirenti era solito riunirsi con gli altri aderenti al “gruppo di fuoco” per lunghe conversazioni. Accadeva a Ripoll, la località catalana in cui anche lui ha mantenuto la residenza, malgrado fosse tornato a vivere in Marocco. È il posto in cui tutto è cominciato e tutto è maturato, si direbbe. Ma si lavora anche all’ipotesi – ispirata secondo El Confidencial dai servizi d’intelligence marocchini – che gli attentati siano stati pianificati tra i monti dell’Atlas, a Mrirt, nella provincia di Khenifra, luogo da cui vengono la maggior parte dei sospettati.
In più, le autorità marocchine inizialmente non hanno esitato a collegare le attività di Nourine Oukabir alla protesta sociale che da mesi scuote la regione del Rif – con riverberi diretti anche sulla questione identitaria berbera- chiedendo «lavoro» e «sviluppo». La prova, alcuni messaggi datati 9 agosto – postati dal sospettato sul suo profilo Facebook e poi cancellati – che a detta degli inquirenti contenevano espliciti inviti alla lotta armata. Un modo per tirare in ballo un movimento – battezzato al Hirak, semplicemente «il movimento», – che al contrario in piazza sembrerebbe attento ai principi della non-violenza e che già in passato ha subito tentativi di delegittimazione, con accuse riguardanti possibili infiltrazioni jihadiste tra le sue file.
Fatto sta che Mohammed VI, il quale nelle ore successive alla strage delle Ramblas aveva espresso tutto il dolore e la solidarietà del caso, due giorni dopo, per il 64° anniversario della «Rivoluzione del re e del popolo» – festa nazionale in Marocco – non ha rinunciato al tradizionale gesto di clemenza rivolto ai detenuti che hanno seguito percorsi di recupero. Nel discorso televisivo che il re ha tenuto per l’occasione non sono mancati toni trionfali per il nuovo ruolo che attende il Paese dopo il suo ritorno nei ranghi dell’Unione africana.
FONTE: Gina Musso, IL MANIFESTO[1]
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