by Luca Celada | 19 Agosto 2017 9:32
Steve Bannon, per molti versi la vera eminenza grigia del trumpismo, è stato licenziato come «consigliere strategico» della Casa bianca. Voci sul suo allontanamento erano prese a circolare con insistenza a Washington dopo l’intervista rilasciata martedì in cui aveva criticato la politica di Trump sulla Corea affermando che malgrado le minacce proferite da presidente «non esiste soluzione militare al problema nord coreano».
BANNON ERA STATO architetto della strategia che aveva portato le variegate formazioni della alt right nella anomala coalizione di Trump. Già produttore di «documentari» propagandistici contro la sinistra «antiamericana» e le «élite cosmopolite e globaliste», Bannon è stato aggregatore di un estremismo «bianco maschio e digitale» su cui aveva costruito la fortuna del portale della «nuova destra» Breitbart News.
ISOLAZIONISTA e oltranzista cattolico ha collegato in qualche modo la cultura teocon e «redneck» della provincia retrograda americana a settori integralisti ed ordinovisti che in Vaticano si oppongono al papa. Nell’analisi di Bannon, l’attuale crisi capitalista è conseguenza della «perdita delle radici giudeo-cristiane della civiltà occidentale» predestinata alla superiorità. Su Breitbart News ha praticato il «format della rabbia» e della bufala, quella dieta quotidiana di complottismo e astio verso le urban élites.
Le sue posizioni che teorizzano guerre parallele all’«egemonismo cinese» e «all’islamofascismo» lo hanno posto però in aperto conflitto con le forze del liberismo tradizionale legate a Wall Street pur presenti nell’amminstrazione.
ESPONENTI come Reince Preibus, il ministro del Tesoro Mnuchin ad esempio, e lo stesso genero preferito di Trump Jared Kushner. Ci sono stati contrasti anche con il generale Kelly il chief of staff con l’arduo compito di mettere ordine dietro le quinte.
I FATTI DI CHARLOTTESVILLE hanno invece esacerbato le divisioni e il senso di caos. Le dichiarazioni di Trump hanno prodotto critiche di capitani di industria (per le numerose dimissioni sono state sciolte due commissioni del settore privato sull’economia) e il biasimo di un partito repubblicano che sembra ormai davvero insofferente alle escandescenze del capo. Ted Cruz, John McCain, Mitt Romney, Marco Rubio e numerosi altri ex rivali delle primarie sono scesi ufficialmente in campo contro Trump, a fronte di tensioni anche coi leader parlamentari Paul Ryan e Mitch McConnell.
Fino ad ora lo zoccolo duro sembra ancora rimanere compatto nel sostegno al presidente populista ma l’allontanamento di Bannon apre un nuovo fronte di incertezza per l’amminstrazione trumpista che sembra divorare sempre più velocemente la propria progenie.
FONTE:
IL MANIFESTO[1]Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/08/94040/
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