I genitori di Giulio Regeni: “andremo in Egitto a prenderci le carte”

by GIULIANO FOSCHINI | 15 Agosto 2017 18:47

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«ERA il peggiore dei nostri incubi: alla vigilia di Ferragosto, con gli uffici vuoti, quando tutti sono distratti, arriva il governo e rimanda in Egitto l’ambasciatore giustificandolo con un inesistente cambio di passo nelle indagini chi sa cosa c’è in quei verbali? Cosa ci hanno detto gli egiziani fin qui sul sequestro, la morte e la tortura di nostro figlio Giulio? Zero. Anzi: solo fango e falsità. Tutto quello che sappiamo ce lo siamo trovati da soli, con i pm italiani». Morte, sequestro e tortura. Dicono così Paola e Claudio Regeni, con scelta precisa dei termini, le parole sono importanti per raccontare cosa è accaduto a loro figlio.

«È una resa» ripetono. Perché è vero: la notizia del rientro del nostro ambasciatore al Cairo era nell’aria da tempo. Da mesi. La politica, il governo, aveva mandato loro segnali vari. La visita in Egitto del presidente della commissione Difesa, Nicola Latorre, con altri parlamentari italiani era da leggere in quel senso. Poi le parole sballate su Giulio «operatore di intelligence culturale» pronunciate durante un convegno organizzato dai 5Stelle alla Camera. E ancora i continui riferimenti alle difficoltà nei rapporti con la Libia, nell’emergenza migranti. «Ma la decisione di rimandarlo ora — dicono — nell’obnubilamento di ferragosto, ha il sapore di una resa confezionata ad arte». Non ci stanno.
Fin qui la famiglia Regeni si è sempre detta contraria al rientro dell’ambasciatore. «Ma non per una questione di principio, ma purtroppo sulla base di fatti. Anzi per l’assenza di fatti» spiega il loro avvocato Alessandra Ballerini. «Solo quando avremo la verità sul perché e chi ha ucciso Giulio quando ci verranno consegnati, vivi, i suoi torturatori e tutti i loro complici, solo allora l’ambasciatore potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità». «Dignità » ripetono Paola e Claudio. Ad aggiungere dolore sul dolore in questi mesi ci sono stati i depistaggi, le bugie. Le menzogne. E non ultimo l’«affronto» del procuratore generale egiziano Sadek: aveva chiesto di incontrarli, nel dicembre scorso durante la visita a Roma. Paola e Claudio, nonostante tutto, accettarono. Muovendo una sola richiesta: «Il fascicolo sulla morte di nostro figlio». «Certo, ve lo consegneremo subito » risposero gli egiziani. «Una bugia, l’ennesima» fanno notare ora i Regeni. «Si sono sempre rifiutati di consegnarcelo violando quella promessa che fu fatta guardando negli occhi noi e il nostro avvocato». Non è un caso che la famiglia e avvocato sono pronti ora a volare al Cairo per chiedere proprio quei documenti. Guardando i magistrati negli occhi, proprio come otto mesi fa.
Non si fidano. «Abbiamo avuto solo fango e bugie» ripetono. Per dire: la grande svolta di ieri, con la consegna dei verbali dei dieci, è frutto del lavoro italiano e non certo egiziano. Quei nomi sono stati tirati fuori dai poliziotti dello Sco e dai carabinieri del Ros che da un anno e mezzo indagano sulle menzogne dei colleghi egiziani. Sono loro che hanno scoperto che Osam Helmy, l’ufficiale che per primo li aveva accolti al Cairo nel febbraio scorso negando di aver mai sentito pronunciare il nome di Regeni, in realtà era lo stesso che per settimane aveva indagato su Giulio. Sono state le indagini difensive dell’avvocato Ballerini ad appurare che il colonnello della National Security Sharif Magdi Ibrqaim Abdlaal, che aveva coordinato l’operazione di spionaggio su Giulio, era lo stesso che aveva falsamente accusato e arrestato Ahmed Abdallah, il consulente della famiglia Regeni. E che era stato il colonnello Mahmud Hendy l’ufficiale che aveva collocato i documenti di Giulio nella casa del capo della banda dei cinque eliminati il 24 marzo.
Ora sono arrivati i loro verbali e degli altri sette colleghi coinvolti. «Ma ignoriamo il contenuto» fanno notare i genitori di Giulio. «Eppure con singolare sincronia annunciamo il rientro dell’ambasciatore, come se non fossero stati 18 mesi di lunghi silenzi e sanguinari depistaggi, senza alcuna svolta. Per questo siamo indignati per modalità, tempistica e contenuto » dicono, laddove la sequenza non è casuale. Modalità perché si giustifica il reinvio dell’ambasciatore con una svolta che in realtà non esiste. Tempistica, perché farlo alla vigilia di Ferragosto era «il peggior incubo». E infine, terzo, perché la verità è troppo lontana.
«Sappiamo — dicono Paola e Claudio — che il popolo giallo di Giulio, le migliaia di persone che hanno a cuore la sua tragedia e la dignità di questo paese, sapranno stare dalla nostra parte, dalla parte di tutti i Giuli e le Giulie del mondo e non si faranno confondere ». «Perché in gioco — dice l’avvocato Ballerini — non c’è solo il dolore di una famiglia ma la dignità del nostro paese». «Sembra non finire mai. Tutti i depistaggi — ripete spesso Paola — tutto quello che c’è stato dopo… È come se la violenza subita da Giulio continuasse a perpetuarsi, in psicanalisi si chiama “coazione a ripetere”: continua ancora. È davvero tutto il male del mondo».

FONTE: GIULIANO FOSCHINI, LA REPUBBLICA[1]

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  1. LA REPUBBLICA: http://www.repubblica.it/

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