Legambiente: «In Italia solo il 10,6% delle case abusive viene abbattuto»
«Si potranno sanare vecchi e nuovi edifici» denuncia il vicepresidente dell’associazione ambientalista
La metà delle nostre coste ha cambiato volto, divorata dal cemento. Come se non bastasse l’erosione di un terzo delle spiagge provocata dai cambiamenti climatici, una grossa fetta del litorale è stata occupata da costruzioni abusive. Al ritmo di 25 metri al giorno, se ne sono persi 8 chilometri all’anno, dice Legambiente nel rapporto «Ambiente Italia». Solo il 19% del litorale (1.235 km) è sottoposto a vincoli di tutela. Le regioni peggiori (hanno costruito negli ultimi decenni entro i 300 metri dalla costa): Sicilia, Lazio e Campania. La Sardegna è la più virtuosa.
«Chi spinge sul tasto degli abusi di necessità vuole arrivare a un nuovo condono edilizio. È un fronte che va dal senatore di Ala Ciro Falanga al governatore Pd della Campania, Vincenzo De Luca, fino al sindaco 5S di Bagheria, Patrizio Cinque»: Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, racconta i tentativi, in Parlamento come in Sicilia, per scardinare le norme che impongono gli abbattimenti degli edifici abusivi.
Zanchini, quante ordinanze di abbattimento vengono realmente eseguite?
In Italia, dal 2001 al 2011, solo il 10,6% degli immobili è effettivamente andato giù. Una percentuale che precipita al 4% nella provincia di Napoli e rasenta lo zero a Reggio Calabria e Salerno. Il meccanismo si blocca per i ricorsi, per le difficoltà della macchina amministrativa e, spesso, perché i comuni non hanno i soldi da anticipare per le ruspe. Quando un comune non ce la fa sarebbe bene che intervenisse lo stato con le prefetture. Inoltre, per evitare che gli abbattimenti vengano bloccati dai ricorsi, spesso pretestuosi, sarebbe necessario prevedere lo stop all’iter solo in presenza di un provvedimento di sospensione da parte di un tribunale. In assenza, non vi è alcun motivo perché il comune arresti le procedure.
Sono davvero abusi di necessità quelli realizzati?
L’abuso di necessità è un fenomeno terminato alla metà degli anni ’90. Da allora siamo in presenza di soggetti organizzati che tirano su interi quartieri, in zone dove controllano tutto, anche l’impiegato comunale da corrompere. Oppure è gente che possiede un terreno e ci costruisce sopra la casa, spesso una seconda casa, magari sul mare. Così abbiamo consumato il 66% delle coste calabresi, oltre il 50% di quelle campane e siciliane. Nel 2016 gli abusi sono stati circa 17mila.
In Sicilia c’è il caso emblematico di Bagheria
A fine giugno, nel silenzio generale, il sindaco (che risulta possedere un immobile abusivo) ha approvato un regolamento che è in effetti un condono comunale. In Italia funziona così: in presenza di un’ordinanza di demolizione, se il proprietario non ottempera, il comune acquisisce gratuitamente il bene e l’abbatte a proprie spese, rifacendosi quindi dei costi sull’ex proprietario. Il regolamento di Bagheria, invece, prevede di poter acquisire il bene al patrimonio pubblico per poi affittarlo all’ex proprietario in stato di necessità, o a un suo familiare, con un canone calmierato. Se non c’è lo stato di necessità, può andare a chi è in graduatoria per la casa popolare. Ma per il problema dell’edilizia popolare basta requisire le case vuote non legittimare un reato.
In cosa si distingue Bagheria da altri tentativi di sanatoria?
È particolarmente grave perché, con questo meccanismo, è possibile sanare anche i futuri abusi. Nei condoni istituiti per legge almeno era prevista una tassa che copriva i costi per portare strade e fogne. Il provvedimento del sindaco Cinque è invece un regalo agli abusivi e le spese per le infrastrutture finiscono a carico della collettività. Si tratta spesso di immobili insicuri, realizzati risparmiando sulla qualità del cemento, utilizzando lavoro in nero o ditte dei clan. I 5S si caratterizzavano per due temi: onestà e difesa dell’ambiente. Con le posizioni di Cinque e del candidato governatore siciliano, Giancarlo Cancelleri, si sono allineati al centrodestra e al Pd.
È in via di approvazione il ddl Falanga, che stabilisce i criteri di priorità da imporre alle procure per gli abbattimenti. Legambiente ne ha chiesto il ritiro, perché?
La legge prevede un fondo da destinare agli abbattimenti di 40milioni: sono pochi ma rischiano, se passa la legge, di rimanere inutilizzati. Chiunque, difronte a un’ordinanza di abbattimento, potrà opporsi dicendo «perché casa mia e non un’altra?». In quanto al criterio in base al quale vanno buttati giù per ultimi gli abusi di necessità di chi non ha un’altra abitazione, basta utilizzare familiari o prestanome per mettersi al sicuro. Sono tutti escamotage per generare sanatorie di fatto.
FONTE: Adriana Pollice, IL MANIFESTO
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