Missione italiana in Libia, il vice premier sconfessa Sarraj

Missione italiana in Libia, il vice premier sconfessa Sarraj

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Mentre la nave italiana Comandante Borsini prosegue «regolarmente» – dicono fonti della marina – la sua missione di ricognizione in Libia, lo scontro a Tripoli si accende.

Il premier di unità nazionale Sarraj è stretto tra mille fuochi, nemici e «amici». Ieri il suo vice primo ministro, Fathi al Mijibri, ha sconfessato l’accordo annunciato a Roma una settimana fa al fianco di Gentiloni per l’invio di navi italiane «a sostegno della lotta all’immigrazione clandestina»: si tratta, ha detto, «di una decisione unilaterale del primo ministro» e rappresenta «una violazione della sovranità libica».

Per assurdo (ma neanche troppo) la stessa visione dei rivali, il parlamento ribelle di Tobruk e del suo braccio militare, il generale Haftar. Ovvero colui che due giorni fa minacciava l’Italia di bombardare le navi in acque libiche.

Sebbene Sarraj sia «l’unico con potere di firma», la sua debolezza è estrema, come spiega l’analista Mattia Toaldo a Agenzia Nova: «Non è da sottovalutare» lo scontro in corso all’interno del Consiglio presidenziale, con il premier che ha sul collo il fiato degli avversari interni.

Tra cui lo stesso al Mijibri, in rotta con Sarraj da gennaio quando alcune nomine da lui fatte per servizi e controterrorismo erano state bocciate. Le aveva annunciate approfittando dell’assenza del primo ministro, all’estero.

Non solo: il vice premier, originario della Cirenaica, aveva tentato un avvicinamento (poi fallito) ad Haftar. Ieri ha ripreso la parola che, se non impedirà nell’immediato l’arrivo delle navi italiane, di certo fa traballare ulteriormente Sarraj, sempre più isolato in una capitale che controlla a stento.

L’Italia, ha aggiunto, vuole «rioccupare» la Libia. Parole che riflettono quelle pronunciate giovedì dal figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, sempre più vicino a Tobruk. Questo il contesto in cui l’Italia pensa di operare con una missione navale: un paese al collasso, uno Stato fallito in cui neppure il riferimento ufficiale (il governo di unità) è portatore di una visione comune.

FONTE: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO



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