Tribunale dei popoli: «Criminalizzare la solidarietà è un crimine»
«Un fattore specifico relativo all’impunità per le violazioni dei diritti umani dei migranti sarà quello della criminalizzazione della solidarietà. Lanciare una bottiglia vuota nel deserto dell’Arizona, e la criminalizzazione di chi lancia una bottiglia piena d’acqua ed essere accusato di “incentivare l’immigrazione illegale”. Su questo il Tribunale dovrà concentrare gli sforzi nel connettere le condizioni strutturali che causano lo spostamento forzato di persone, e l’assenza di diritti in tutto questo processo». Le parole, attualissime oggi con la martellante campagna d’attacco alle Ong che salvano vite in mare, sono di Carlos Beristain, giurato del Tribunale Permanente dei Popoli che nelle settimane scorse ha lanciato a Barcellona una sessione sui diritti dei migranti e dei rifugiati. Le prime conclusioni (www.http://permanentpeoplestribunal.org/conclusiones-preliminares-del-acto-de-apertura-de-la-sesion-sobre-los-derechos-de-las-personas-migrantes-y-refugiadas/) lasciano intravvedere le linee di lavoro dei prossimi mesi del Tribunale.
Nelle parole del segretario generale del Tribunale Gianni Tognoni «questo processo vuole diventare uno strumento di presenza attiva nella società una forma di alfabetizzazione culturale, legale e politica, condizione indispensabile per il riconoscimento del popolo migrante e rifugiato come soggetto di diritti inviolabili». Un processo partecipato volto a render visibile ciò che i media mainstream e la politica istituzionale vorrebbero mantenere invisibile, ovvero la soggettività del popolo migrante, inteso come soggetto di diritto. «Le immagini di dolore e la presenza dei rifugiati hanno contribuito a rendere evidente ciò che non si vuole vedere. La dignità delle persone e vittime dev’essere presa in considerazione. Il popolo migrante non potrà essere rappresentato come oggetto di consolazione o solidarietà ma come soggetto del proprio destino» ci dice Beristain. E per restituire loro dignità sarà necessario indagare le cause dell’impunità, «spesso connessa a meccanismi che spogliano queste persone dei loro diritti, ed un meccanismo che finisce per convincerci della nostra impotenza. (…) questo Tribunale prenderà in considerazione casi che permetteranno poi di intraprendere iniziative e sviluppare metodologie di indagine sui casi di violazione dei diritti umani, e processi di recupero della memoria collettiva». Di chi è sparito in mare, i “desaparecidos” e chi è sopravvissuto a tal sorte. Un compito che presuppone il ricorso a categorie nuove, articolando concetti come «necropolitica» o «crimini di pace».
Concetto quest’ultimo di basagliana memoria e ripreso di recente in un bel saggio, non ancora pubblicato in Italia, di Maurizio Albahari, professore di Antropologia dell’Università di Notre Dame negli Stati Uniti. Il suo Crimes of Peace, Mediterranean Migrations at the World’s deadliest border si riferisce alle forme di violenza che sono conseguenza di situazioni di ingiustizia strutturale o istituzionale e che non necessariamente possono essere ricondotte a categorie giuridiche esistenti. Ad esempio, le migliaia di persone annegate nel Mediterraneo possono essere considerate vittime di crimini di lesa umanità? Eppoi, come sottolinea Albahari, in nome di chi o per conto di chi si commettono questi crimini di pace? Come qualificarli, se non attraverso un’analisi chiara degli eventi, meccanismi e relazioni che possano poi aiutare nell’identificazione delle responsabilità legali e politiche? Su tutti il tema della sovranità, Nelle parole di Judith Butler in una sua recente “lecture” su Critica, Crisi e Violenza tenuta a Bologna, una sovranità spacchettata, «usata à la carte» per creare una situazione nella quale una sua espressione prende il sopravvento rispetto ad altre, a seconda delle circostanze, senza che esista un principio superiore. Per Butler, non esiste un tribunale che possa risolvere i conflitti nello spazio e nel tempo generati dalle modalità scelte per «governare» i flussi migratori. Se così è allora spetta ai «popoli», convocare questo tribunale.
Inizialmente proposta in Italia dal Comitato Giustizia per i Nuovi Desaparecidos e da Carovane Migranti, l’iniziativa – coordinata dalla segreteria generale del Tribunale – conta con il sostegno di decine di organizzazioni convocate dal Transnational Migrant Platform e dal Transnational Institute. Sulla base dell’atto d’accusa si snoderanno nei prossimi mesi, anche in Italia, vari filoni tematici, sulle politiche europee, il sistema delle frontiere e in particolare del Mediterraneo, la dimensione di genere. Un percorso di verità e giustizia necessario ed urgente, in Europa ed in tutto il Mediterraneo.
FONTE: Francesco Martone, IL MANIFESTO
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