BELGRADO. Giovane, economista di rango europeista e di solida formazione accademica nel Regno Unito. Omosessuale dichiarata. È lei, la nuova premier serba Ana Brnabic, il personaggio del momento nei Balcani, volto moderno di Belgrado europea, nonché la partecipante-chiave al summit Ue-Balcani di Trieste, organizzato dall’Italia.
Signora premier, lei è stata scelta per le sue capacità e, quale simbolo di modernità, anche per la sua vita privata.
Come si sente?
«L’ho percepito come un bel segnale, molto importante, anche fuori dalla Serbia. Non lo si sa o lo si dimentica, ma oggi la Serbia è il paese più multietnico d’Europa: 26 gruppi etnici registrati e integrati, 15 lingue d’insegnamento a scuola. Spesso la mia patria viene percepita come chiusa, conservativa, xenofoba, omofoba, ma non è così. Sa vivere con diverse minoranze, le protegge con meccanismi istituzionali. C’era molta omofobia in Serbia, ma mi piacerebbe pensare che molto spesso veniva da minoranze rumorose urlanti, non da maggioranze silenziose».
In Italia o altrove una premier lgbt oggi sarebbe improbabile, come minimo. Perché è possibile in Serbia?
«La mia storia mostra che la maggioranza qui ti giudica per le tue qualità, lavoro e onestà, non se sei nero o bianco, etero o gay. Amo il mio paese per questo. Con questa scelta noi serbi possiamo mostrare che non siamo il paese ultraconservatore, xenofobo, omofobo immaginato altrove, per questo decisi di tornare qui».
Gender equality nuovo momento costitutivo del riformismo iniziato da Vucic?
«Il presidente Vucic ha lavorato duro per cambiare. Con lui il governo non ha mai contestato il gay pride, da anni vi partecipano ministri e il sindaco di Belgrado. Le minoranze ora sono fortemente protette anche dalla polizia. Scegliendomi come premier, Vucic ha dimostrato di essere un leader coraggioso, con una visione, e anche il suo partito mi ha accettato come non iscritta, gay e con nonno croato. Si sono solo chiesti se sono onesta e se posso dare il meglio alla Serbia. È un grande passo avanti, apprezzo questa chance di continuare sulla via delle riforme. Priorità: apertura al mondo, digitalizzazione, Europa».
Non si è sentita offesa dai veti contro di lei della chiesa ortodossa?
«Le dichiarazioni della Chiesa forse sono state riferite in modo errato. In ogni caso la Chiesa le ha smentite. Ha detto “non siamo né pro né contro, non interferiamo nella scelta di chi guida il governo”. Ho avuto discussioni molto aperte con loro, alcuni mi hanno appoggiato. Li rispetto, sono importanti per la tradizione e per molti cittadini serbi. Alla fine accettandomi hanno accettato la separazione tra Chiesa e Stato, senza interferenze».
Cosa si aspetta da Trieste?
«Primo, sono ansiosa di incontrare i colleghi leader della regione. Con elezioni già svoltesi da noi, in Croazia, Macedonia, Montenegro, Albania, abbiamo la retorica alle spalle. E quindi più chances di controntarci pragmaticamente su cooperazione e stabilità: priorità per la Serbia insieme all’integrazione nella Ue. Abbiamo fatto molto in tal senso, siamo paese stabile e prevedibile, ma senza stabilità regionale investimenti e finanziamenti internazionali non verranno nella quantità necessaria. Dobbiamo cogliere l’occasione creata dal Processo di Berlino lanciato nel 2014 anche grazie alla Merkel. Attendo gli importanti colloqui con la cancelliera, Macron, Boris Johnson, Gentiloni. Su molti vitali progetti di sviluppo economico, specialmente nel digitale».
Quanto è grande il rischio che la Ue sottovaluti i pericoli delle tensioni nei Balcani?
«La Serbia farà tutto quanto può per la stabilità regionale, come negli ultimi 4 anni. Il processo di Berlino è fantastico, lo dobbiamo a uno Stato Ue responsabile e con visioni chiare, la Germania di Angela Merkel».
Lei ha detto che se obbligata a scegliere tra Ue e Russia la Serbia sceglierebbe la Ue…
«Sono stata fraintesa. La nostra strategia è divenire membro della Ue, il mio nuovo governo è anche un segnale con nuovi ministeri per l’integrazione europea e l’ambiente. D’altra parte siamo profondamente legati alla Russia: tradizione, religione, economia, energia, radici storiche e presente. Ma nessuno ci pone un aut- aut. Il nostro cammino strategico si chiama Ue. Dalla Russia abbiamo molto da imparare nella scienza, l’università Lomonosov lavora col Mit. E sviluppiamo delle partnership con Cina, India, Usa, Canada, col mondo globale».
Molti lasciano la politica per i vertici economici. Perché Lei ha scelto il contrario?
«Ho guadagnato bene nella carriera economica, la politica come professione non è così ben pagata. Ma amo profondamente il mio paese, voglio fare il meglio per rafforzare la nuova Serbia nel mondo. Sono onorata di rappresentare a Trieste non un paese balcanico conservatore e chiuso, ma un paese aperto che puó offrire molto all’Europa, anche in termini di start-up di alta tecnologia. Quando, spero con successo, avrò svolto il mio mandato, forse tornerò nel mondo economico. E oggi come domani continuerò a vivere la mia vita privata, sentendomi riconosciuta come persona normale».
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