Il Ceta rimandato a settembre
«Non ci sono le condizioni politiche per arrivare al voto prima della pausa estiva«. Nei corridoi di Palazzo Madama lo ripetono con circospezione quelli che contano nella maggioranza, ammettendo di dover fermare, a sorpresa, la corsa del Ceta, l’accordo di liberalizzazione commerciale tra Europa e Canada, verso la ratifica al Senato. Un’approvazione che sembrava, ormai, scontata, ma che grazie alle migliaia di email, articoli, incontri pubblici e più discreti, sembra ora rinviata a data da destinarsi. Oggi, infatti, anche nel Pd e in Forza Italia – le forze che hanno sostenuto il primo via libera al Ceta in Commissione Affari Esteri meno di un mese fa – ci sono più eletti che vogliono guardare tra le pieghe del trattato-truffa, senza cedere ai diktat dei rispettivi vertici. La scorsa settimana, per iniziativa dei parlamentari Paolo Russo di Forza Italia e Colomba Mongiello del Pd, è nata l’idea di creare addirittura un intergruppo dove confrontarsi con i colleghi su come gestire un trattato che esclude, ad esempio, dalla protezione delle indicazioni geografiche tutti i prodotti dell’eccellenza alimentare meridionale tranne la mozzarella di bufala campana. E che espone, in tempi di raccolti distrutti dai cambiamenti climatici, i nostri produttori alla concorrenza di aziende molto più grandi e che godono di ampi sostegni pubblici.
Contro il Ceta si sono espresse in queste settimane molte Regioni, votando delibere contrarie e chiedendo al Senato di fermare il processo. Lazio, Lombardia, Liguria, Veneto, Puglia, Calabria, Marche e Valle d’Aosta, oltre a centinaia di Comuni, hanno intimato al Parlamento di aprire una consultazione ampia sugli effetti del trattato. Anche il Comune di Roma, dopo l’approvazione della mozione all’unanimità in commissione Affari internazionali e turismo, è a un passo dall’approvazione finale in Assemblea capitolina. Una vittoria, quella che strappiamo oggi al Senato, rafforzata dalle voci delle assemblee locali, e che arriva importante e inattesa, ma che, fino all’ultimo giorno di questa lunga estate parlamentare, e di questa legislatura non ci vedrà abbandonare i corridoi del parlamento, delle istituzioni del territorio e, soprattutto, le tastiere di telefoni e computer.
Dobbiamo continuare a pressare gli eletti, ma soprattutto il governo. È stato il premier italiano Gentiloni il primo a promettere al premier canadese Justin Trudeau una rapida approvazione del testo di cui, siamo certi, non avrà letto che qualche ellittico Bignami. Sono i suoi ministri, quello allo sviluppo economico, Carlo Calenda, e quello all’agricoltura, Maurizio Martina, a difenderlo oltre ogni ragionevole dubbio e dato. E a diffondere imbarazzanti «schede di lettura» tra i poveri parlamentari ai quali, come associazioni e realtà produttive e del mondo del lavoro, abbiamo anche dovuto rispondere con il dossier «Debunking Ceta: manuale di sopravvivenza alla disinformazione» (http://bit.ly/2u2aMdL) con un certo imbarazzo di fronte agli argomenti errati e poveri messi in campo.
In questa settimana decisiva fino al 3 agosto, ultima seduta in Senato, e per tutta l’estate, saranno loro i destinatari privilegiati delle nostre attenzioni. Per evitare un blitz di mezza estate, e per spingerli ad affidare il Ceta alla prossima legislatura, scriviamogli, raggiungiamoli sui social, e insieme chiediamo loro di confrontarsi con le nostre evidenti ragioni e di darsi più tempo per conoscerlo davvero. L’applicazione provvisoria del trattato non arriverà che in autunno, sono pochi i Paesi europei che l’hanno già ratificato: in molti guardano all’Italia dei movimenti e della società civile per riaprire in Europa una discussione profonda su quale commercio sia più adatto ai nostri territori, ai diritti, all’occupazione e all’ambiente. Sul sito della campagna www.stop-ttip-italia.net tutte le istruzioni per moltiplicare le pressioni e respingere il Ceta al mittente. E per sempre.
* Vicepresidente di Fairwatch, portavoce della Campagna Stop TTIP Italia
FONTE: Monica Di Sisto, IL MANIFESTO
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