Armi per mezzo miliardo di dollari dalla Cia ai «ribelli» siriani

Armi per mezzo miliardo di dollari dalla Cia ai «ribelli» siriani

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Mezzo miliardo di dollari in training e armi, finite spesso nelle mani dei qaedisti di al-Nusra

Il fallimentare programma della Cia per l’addestramento e l’armamento di unità armate siriane anti-Assad sarà chiuso. La decisione della Casa bianca, per ora non ufficializzata, è stata rivelata da fonti interne all’amministrazione Trump al Washington Post.

La motivazione, dicono le fonti, non sta nello sperpero di denaro – che oltre che inutile si è rivelato controproducente, con fiumi di armi finite a gruppi jihadisti ufficialmente nemici – ma nell’intenzione di coordinare la guerra allo Stato Islamico in Siria con la Russia.

L’ennesimo riavvicinamento a Mosca dell’ondivaga amministrazione Usa, seguito agli incontri recenti di Trump con il presidente Putin, conferma ancora una volta la supremazia russa nel conflitto siriano.

Come la conferma la chiusura di un programma costato mezzo miliardo di dollari e già nel cassetto: secondo il Wp, la decisione sarebbe maturata un mese fa durante una riunione con il direttore della Cia Pompeo e il consigliere alla sicurezza nazionale McMaster.

All’epoca l’obiettivo dell’ex presidente Obama era quello di addestrare 5.400 miliziani dell’Esercito Libero Siriano (Els) all’anno per tre anni tra Turchia e Giordania, per poi inviarli – armati fino ai denti – nel campo di battaglia siriano a detronizzare il presidente Bashar al-Assad.

Per stessa ammissione Usa (parola del segretario alla Difesa dei democratici, Ashton Carter) due anni dopo, nel luglio 2015, ne erano stati formati una sessantina, «un numero terribilmente piccolo».

Molto più duro era stato il generale Lloyd Austin, capo del comando Usa in Medio Oriente: nel settembre 2015, durante un’audizione al senato aveva riferito che a combattere sotto la guida di Washington c’erano «forse quattro o cinque ribelli».

Non solo. L’unità di opposizione plasmata dalla Cia e formata da 5mila miliziani, Harakat Hazm, si è auto-dissolto nel 2015, sbaragliata dall’allora Fronte al-Nusra, gruppo qaedista che ha cambiato nome un anno fa in un’operazione di mero maquillage.

Inoltre i 54 combattenti armati e preparati, membri della Divisione 30 dell’Els (ribattezzata dall’intelligence Usa New Syrian Forces), una volta tornati in Siria si sono uniti alle fila di al-Nusra.

Non certo gli unici. Migliaia di miliziani armati dagli Stati uniti e dal fronte anti-Assad hanno cambiato bandiera o in alcuni casi non hanno nemmeno dovuto farlo: diverse unità legate all’Els avevano già rapporti stabili con gruppi qaedisti e salafiti, soprattutto tra Aleppo e Idlib.

Una realtà confermata al Washington Post dalle stesse fonti: molti dei «ribelli» foraggiati dalla Cia sono passati allo Stato Islamico e all’ex al-Nusra, come hanno fatto intere unità che mantenevano il vecchio nome solo per salvare una parvenza di «laicità» accettabile dai finanziatori occidentali.

Cambia ancora la strategia statunitense in Siria, ormai quasi svuotata di un’effettiva direzione: in pochi mesi Trump ha aperto alla permanenza di Assad al potere, ha bombardato con 59 Tomahawk una base aerea siriana, ha deciso di riarmare le opposizioni (notizia rimasta senza conferme ufficiali: a fine maggio alcuni leader dell’Els hanno fatto sapere di aver ricevuto armi dagli Usa per contrastare l’avanzata governativa e delle milizie sciite al confine sud con l’Iraq).

E ora torna a corteggiare la Russia, consapevole che la strategia politica e militare finora adottata è stata fallimentare: il sostegno alla Coalizione Nazionale, rete delle opposizioni in esilio subito elevata a unico e legittimo rappresentante del popolo siriano, è scomparsa politicamente da anni, incapace di muoversi sul campo di battaglia così come di presentare un’alternativa credibile ai siriani.

FONTE: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO



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