Uranio impoverito, «soldati senza protezione»,  7600 ammalati

by Costantino Cossu | 20 Luglio 2017 10:16

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Poligoni, caserme, stabilimenti militari: luoghi insicuri, dove vengono utilizzate o custodite sostanze altamente tossiche. Luoghi pericolosi per i soldati ma anche, nel caso dei poligoni, per le popolazioni che abitano nelle zone circostanti. Secondo l’Osservatorio militare (l’organismo indipendente che in materia di sicurezza e di salute tutela i militari ma anche i civili coinvolti dalle attività delle forze armate) solo a causa dell’uranio impoverito sono 7600 i militari che si sono ammalati.

A fronte di questa cifra inquietante, sono appena 76 le sentenze favorevoli ottenute dall’avvocato Angelo Tartaglia, che per l’Osservatorio lavora a garanzia delle vittime dei veleni. Settantasei storie che si possono leggere in un libro prezioso da poco pubblicato dall’editore David & Matthaus, «Militari all’uranio[1]», scritto dalla giornalista Mary Tagliazucchi insieme con Domenico Leggiero, ex pilota dell’aviazione, coordinatore dell’Osservatorio militare e consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito. Racconti che sono la punta emersa di un universo sotterraneo dove incuria, leggerezza, mancato rispetto delle regole militari e delle leggi provocano sofferenza e morte.

A gettare luce su questo mondo oscuro ci prova, con l’Osservatorio militare, anche la Commissione parlamentare sull’uranio impoverito, presieduta da Giampiero Scanu, Pd, deputato della Sardegna, la regione che ospita il maggior numero di servitù.

Ieri dalla Commissione sono arrivate, insieme con l’ennesimo grido d’allarme, alcune proposte operative.

Durante una conferenza stampa, che s’è tenuta al mattino alla Camera, Scanu ha reso nota la relazione intermedia della Commissione, il cui lavoro è culminato in una proposta di legge intitolata «Sicurezza sul lavoro e la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del personale delle Forze armate». Sarà a breve presentata alla Camera.

«L’universo della sicurezza militare – ha detto Scanu – non è governato da norme adeguate. C’è bisogno di una nuova legge, senza la quale resteranno immutate le scelte strategiche di fondo che trasformano i militari in lavoratori deboli e umiliano i militari ammalati o morti per la sproporzione tra la dedizione dimostrata e la riluttanza istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi».

Da parte del ministero dell’ambiente la Commissione sollecita «sia un’indagine che registri in maniera certa tutti i dati relativi ai colpi esplosi nei poligoni sia controlli stringenti sulla dispersione delle sostanze nelle zone militari e in quelle circostanti».

Viene segnalata infatti, per quanto riguarda i poligoni di tiro, «l’assenza o la mera episodicità dell’attività di controllo dell’impatto sull’ambiente delle esercitazioni militari». «Le sostanze inquinanti – si legge nella relazione – entrano nella catena alimentare e quindi l’accettazione di soglie più elevate della norma espone a un rischio significativo chiunque utilizza i prodotti derivati».

Una catena di veleni che dai giochi di guerra arriva ai banchi dei supermarket.

«Rischi di esposizione ad agenti chimici e cancerogeni connessi a sostanze impiegate nelle diverse attività» sono emersi in alcuni documenti acquisiti dalla Commissione e resi noti ieri.

Le criticità maggiori sono segnalate nelle zone dei poligoni, e «ulteriori rischi, altrettanto rilevanti, insidiano le caserme, i depositi e gli stabilimenti militari: sia rischi strutturali, sia carenze di manutenzione, sia presenza di materiali pericolosi come l’amianto», che non risulta ancora integralmente eliminato da navi, aerei, elicotteri. «In svariati poligoni di tiro – si legge nella relazione – la mancata o tardiva bonifica dei residui dei munizionamenti ha prodotto rischi ambientali gravi».

Tra le aree più pericolose, due sono in Sardegna: il poligono di Capo Teulada, dove si stima la presenza di oltre duemila tonnellate di materiali inquinanti, il poligono interforze del Salto Quirra, il più esteso d’Europa.

E poi il poligono di Monte Romano a Viterbo e quello del Cellina Meduna a Pordenone, dove solo da poco è iniziata la bonifica.

Luoghi ad alta pericolosità, dove «il personale militare – denuncia la Commissione – risulta esposto a rischi fisici, a rischi biologici, a rischi di esposizione ad atmosfere esplosive, nonché a condizioni di stress da lavoro a tutto ciò correlate».

La relazione denuncia anche «l’inammissibile ritardo» dei monitoraggi ambientali nelle zone operative gestite dai militari. «Per decenni – si legge nel documento – le forze armate hanno esposto personale militare e civile a concentrazioni elevatissime sia di amianto sia gas radon, una sostanza radioattiva nota per la sua cancerogenità».

FONTE: Costantino Cossu, IL MANIFESTO[2]

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Endnotes:
  1. Militari all’uranio: http://www.davidandmatthaus.com/militari-alluranio/
  2. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/07/93482/