Cgil, l’ottavo «Rapporto (Im)migrazione e sindacato» della Fondazione di Vittorio
Oltre la metà degli intervistati a un sondaggio ritiene che il clima verso gli stranieri sia peggiorato
Gli immigrati che lavorano nel nostro Paese dicono di trovarsi abbastanza bene, ma che il clima nei loro confronti è nettamente peggiorato negli ultimi anni, principalmente a causa della crisi economica e delle strumentalizzazioni mediatiche. Chiedono più tutela al sindacato, la cancellazione della Bossi Fini e una riforma della legge di cittadinanza, ma anche – più basicamente – corsi di lingua e ascolto da parte dei delegati. Il ritratto emerge dall’ottavo «Rapporto (Im)migrazione e sindacato» della Fondazione di Vittorio della Cgil. Con l’occasione è stato svolto un sondaggio, interpellando un campione rappresentativo di 800 immigrati.
Gli immigrati che vivono in Italia – ha ricordato il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni – sono circa 5 milioni, pari al 9% della popolazione. Ma, come ha rilevato l’Istat, negli ultimi cinque anni le immigrazioni si sono ridotte del 27%, passando da 386 mila del 2011 a 280 mila del 2015, mentre le emigrazioni (cittadini italiani o stranieri residenti che si trasferiscono all’estero) sono aumentate in modo significativo, passando da 82 mila a 147 mila.
Ovviamente oggi si parla anche di richiedenti asilo: «In Europa, secondo Eurostat – spiega la Cgil – il numero di persone che hanno fatto richiesta di asilo politico è più che raddoppiato nel 2015 e la Germania è il paese nel quale è stato presentato il maggior numero di richieste (il 35% del totale Ue). L’Italia è il quinto paese dell’Unione per numero di richieste (pari a poco meno del 7% del totale)». «Nessuna invasione», perché come detto i flussi in entrata per lavoro si sono arrestati e gli ingressi sono diminuiti, ma «vanno gestite le politiche di accoglienza».
Secondo il sondaggio presentato ieri, il 55,4% degli immigrati si sente abbastanza a proprio agio nella società italiana (molto il 25,4%, poco il 16,5%), ma percepisce che il clima sociale nei confronti degli stranieri è peggiorato (53,8%): è dipeso per il 36,9% dalla crisi economica, per il 18,3% dalla strumentalizzazione dei mass media, per l’11,3% perché l’immigrazione è usata come tema elettorale. Il 58% non ritiene di dover emigrare ulteriormente, ma il restante 42% sì.
Quanto al rapporto con il sindacato, il 44,4% dichiara che nel suo posto di lavoro non esiste una organizzazione a tutela del lavoro, ma ben il 55,1% dice di essere iscritto a un sindacato. Il 33,7% dice di non sentirsi abbastanza rappresentato per la scarsità di delegati e funzionari stranieri. Il 25% degli intervistati chiede più dialogo, il 22% formazione linguistica. Il 25% sollecita l’impegno del sindacato perché sia abolita la Bossi Fini, il 22% per la revisione della legge di cittadinanza.
Per i segretari Susanna Camusso e Giuseppe Massafra, che hanno esposto le idee della Cgil sull’immigrazione, la risposta sta in tre concetti: accoglienza, integrazione e universalità dei diritti. «In questo senso – hanno spiegato – la Carta dei diritti universali del lavoro può garantire crescita economica uniforme, pari opportunità, protezione sociale». La relazione perversa tra populismi e politiche della paura si combatte «attraverso la diminuzione delle disparità sociali e la partecipazione alla “cosa pubblica” da parte di tutte le persone, anche di quelle provenienti da diversi Paesi e culture».
FONTE: Antonio Sciotto, IL MANIFESTO
Related Articles
“Diamo un nome a quei 700 fantasmi”
Un anno fa il naufragio del barcone tra Libia e Lampedusa. Ora la Marina vuole riportare in superficie le vittime Un’impresa molto rischiosa perché il relitto si trova a circa 400 metri di profondità. Ecco come si interverrà
Il simbolo della lotta contro la pena capitale
MA LA PERSECUZIONE NON È FINITA. Wesley Cook, l’afro-americano di origini keniote conosciuto come Mumia Abu-Jamal, è diventato, nell’ultimo trentennio, simbolo della lotta contro la pena di morte. Divenuto la «la voce dei senza-voce», Mumia è entrato presto nel mirino dell’Fbi.
Nascere donna in Arabia Saudita
Donne saudite con l’Hijab integrale – Foto: lettera43.it
Di certo non sta avendo luogo in Arabia Saudita una “svolta rosa”, come l’AGI ha battuto alcuni giorni fa e come diversi giornali hanno rilanciato dalle loro colonne. Sicuramente va però riconosciuta la portata storica dell’apertura alle donne del Consiglio della Shura, l’organo consultivo della monarchia wahabita, finora ad esclusivo appannaggio degli uomini. La quota del 20% riservata alla componente femminile è pari a 30 dei 150 membri, designati ogni 4 anni per sottoporre proposte di legge al sovrano (che continua ad accentrare in sé il potere legislativo), esprimere pareri anche su temi di politica estera, dare interpretazioni alle leggi e infine interpellare i ministri sulla loro azione politica.