by Alberto Giovanni Biuso | 22 Luglio 2017 9:47
Siamo ancora qui e siamo i padroni del pianeta anche e soprattutto perché in milioni di anni l’Homo sapiens è riuscito a coniugare due caratteristiche: utilizzare i nostri sensi per percepire con estrema cura i suoni, gli odori, i movimenti dell’ambiente intorno a noi, in modo da evitare d’essere preda e diventare appena possibile predatori; coniugare i sensi con una tendenza immediata e pervasiva alla manipolazione degli oggetti e del mondo. A tutto questo abbiamo unito una formidabile capacità mnemonica, sia dei singoli sia della specie.
Anche per mezzo di tutte queste facoltà abbiamo costruito il mondo digitale e virtuale dentro cui miliardi di umani sono immersi ogni giorno e senza il quale non saprebbero più neppure immaginarsi. Eppure questo mondo presenta dei rischi letali.
TALI RISCHI sono l’oggetto del libro di Alessandro Curioni “La privacy vi salverà la vita. Internet, social, chat e altre mortali amenità” (Mimesis, pp. 146, euro 12). Sembra infatti che siamo biologicamente inadatti a vivere in questo mondo che pure ci siamo costruiti. E una delle prime ragioni è che in un ambiente digitale i sensi servono a poco.
Il significato di ogni subordinazione è sempre politico ed economico. Siamo quindi non al servizio delle macchine e dei software ma al servizio di chi le possiede, perché nel mondo della Rete «voi siete informazioni e avete un valore».
L’INTERAZIONE sempre più intima con i dispositivi digitali rende plausibile la previsione secondo la quale entro il 2020 (vale a dire domani) saranno operativi i primi sistemi di connessione diretta uomo-macchina, immersi entrambi dentro la cosiddetta Internet delle cose, oggetti e ambienti smart, sottoposti come tutti i computer a grandi rischi per la sicurezza.
Pericoli che sono tanto più reali quanto più sembra che in questo incedere delle tecnologie stiamo perdendo l’intimità e la memoria. È infatti sempre più chiaro che le generazioni abituate sin dalla nascita alla ininterrotta connessione digitale hanno «una percezione dell’importanza della privacy pressoché nulla» e questo pone milioni di persone e di strutture in balia di gruppi consapevoli e competenti di criminali informatici.
Le stesse persone, noi tutti, smarriamo anche una delle condizioni dell’equilibrio individuale e sociale: la capacità di dimenticare, che è necessaria quanto quella di ricordare. Come ben sappiamo dalle nostre esperienze e da numerosi casi di cronaca, la Rete non dimentica mai, non dimentica nulla. E dai suoi meandri possono sempre riapparire informazioni pronte a danneggiare singoli individui e comunità organizzate.
È DUNQUE CHIARO che se «nel mondo artificiale della Rete sapere non è un diritto, ma un dovere per chi vuole sopravvivere», libri come questo rappresentano non veicoli di informazione tecnologica ma strumenti di salvaguardia politica nei confronti dei gruppi economici e criminali che utilizzano le nostre inconsapevolezze a vantaggio del loro dominio.
FONTE:
IL MANIFESTO[1]Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/07/93470/
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