Turchia. Amnesty International dietro le sbarre, prima udienza a dicembre
Intanto il governo estende di nuovo lo stato di emergenza e lavora alla sospensione dell’immunità per altri 29 parlamentari di opposizione
ISTANBUL. Le autorità giudiziarie del tribunale di Caglayan di Istanbul hanno convalidato l’arresto per sei dei dieci attivisti di organizzazioni per i diritti umani, tra cui Idil Eser, direttrice di Amnesty Turchia.
Erano stati fermati dalla polizia due settimane fa sull’isola di Buyukada, poco lontana dal centro di Istanbul, durante un workshop dedicato all’internet security e organizzato da Amnesty stessa.
Si aprono quindi le porte del carcere per Ozlem Dalkiran (Helsinki Citizens Assembly), Idil Eser, Gunal Kursun e Veli Acu (Human Rights Agenda Association) e per Ali Garawi e Peter Steudtner, i due cittadini stranieri docenti del workshop.
Rilasciati con obbligo di firma, invece, Nalan Erkem (Helsinki Citizens Assembly), Ilknur Ustun (Women’s Coalition), Nejat Tastan (Association for Monitoring Equal Rights) e Seyhmus Ozbekli (Rights Initiative), sui quali proseguono le indagini.
L’accusa a carico di tutti è sostegno al terrorismo. Gli interrogatori sinora hanno però riguardato marginalmente il workshop, citato nel mandato d’arresto perché organizzato senza previa notifica e «dietro la copertura di attività di formazione», allo scopo di insegnare come nascondere informazioni a polizia e terze parti.
Le domande rivolte ad alcuni degli attivisti hanno riguardato soprattutto la loro rete di contatti: parenti, amici, colleghi e semplici conoscenti, che le autorità collegano ad organizzazioni ritenute sovversive o terroristiche.
Si stima che la prima udienza si svolgerà il 26 dicembre prossimo. Gli avvocati difensori sono trincerati dietro un totale riserbo, dopo l’iniziale ottimismo nei primi giorni di fermo.
A peggiorare la situazione degli attivisti hanno contribuito anche le uscite stampa su alcuni giornali vicini al governo. Da queste colonne i dieci sono stati accusati di essere agenti della Cia americana e dell’Mi6 inglese e di aver tenuto l’incontro «con una mappa della Turchia» per studiare strategie volte a fomentare una nuova rivolta popolare simile a quella di parco Gezi, quattro anni fa.
Accuse veicolate a mezzo stampa con il sostegno della testimonianza di un parlamentare del governo Akp, Orhan Deligoz, che non sembrano al momento trovare alcun riscontro nelle indagini svolte dagli inquirenti.
Maggior pressione sugli inquirenti hanno avuto le parole del presidente Erdogan che, in una conferenza stampa il 9 luglio scorso, ha definito l’incontro a Buyukada una continuazione del 15 luglio, giorno del tentato golpe dell’anno scorso. A questo punto gli avvocati hanno cominciato a disperare nella possibilità di un veloce rilascio.
Idil Eser segue in carcere Taner Kılıç, avvocato e presidente di Amnesty International in Turchia, finito in manette il 9 luglio scorso con l’accusa di legami con la rete dell’imam Fetullah Gülen, che il governo turco ritiene responsabile del tentato golpe.
Nel frattempo il governo ha prorogato di altri tre mesi e per la quarta volta lo stato di emergenza, mentre il parlamento si prepara a votare la richiesta di rimozione dell’immunità parlamentare per altri 29 deputati d’opposizione, 22 del partito dei popoli Hdp e 7 del partito repubblicano Chp.
FONTE: Dimitri Bettoni, IL MANIFESTO
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