Femminicidio, una strage che continua
Quando Maria Tino lo aveva lasciato, il marito le aveva inferto 25 coltellate, a cui lei era sopravvissuta. Meno di un anno dopo, il 13 luglio, il nuovo compagno la uccide con tre colpi di pistola. Maria aveva 49 anni, l’omicida 61. Giovane, 25 anni, Riccardo Madau.
L’uomo ieri si è gettato da un cavalcavia a Cagliari, pensando di avere ammazzato a pugni in faccia Manuela Picci, 26 anni, ora in coma all’ospedale. Giovane anche la donna romena, massacrata a coltellate a Montepulciano dall’ex-compagno, un operaio, nella casa delle due signore anziane che accudiva come badante. Dovevano andare in tribunale, per dirimere questioni di affitto non pagato, da lui. Ha 32 anni Marco Basile, che a Bari qualche giorno fa ha sgozzato la compagna di 48 anni, Donata Di Bello.
Sempre a Bari, un paio di giorni prima Anita Betata Rzepecka, polacca di 30 anni, è deceduta dopo 24 ore di agonia per i ceffoni del compagno, che l’hanno fatta cadere e sbattere la testa. Non so se inserire in questo macabro catalogo l’omicidio- suicidio di due anziani, a Roma, di 76 e 81 anni. Molti titoli lo fanno, lui ha soffocato lei con un sacchetto di plastica, poi si è buttato dalla finestra.
Di fatto gli uomini uccidono donne di tutte le età, a tutte le età, esercitando su di loro un diritto di vita e di morte. Il suicidio di alcuni rivela la consapevolezza del gesto tragico, ma non attenua in nulla la portata della strage che avviene sotto i nostri occhi.
Perché di questo si tratta, di una strage. Che svela che il dominio degli uomini sulle donne fa uso della forza, se necessario, altro che amore e passione. Soprattutto ora, che come racconta la cronaca, le donne, tutte, di ogni condizione sociale, culturale, economica, esercitano a pieno titolo la propria libertà. Libertà di muoversi, di lavorare, fare sesso, amare o non.
Non si mette mai abbastanza in luce il patto sottinteso nel patriarcato, che l’ipermodernizzazione liberista si guarda bene dal cancellare. Che per un uomo, anche il più disgraziato, ci sarà sempre almeno una donna tutta sua.
Peccato che il conflitto sia aperto, e che il patto sia saltato. Ma nessuno li avvisa, o li educa, i ragazzi, gli uomini. E si trovano di fronte a oggetti sconosciuti, donne che pensano di stare meglio da sole, per esempio.
Non stupisce allora questa specie di guerriglia individuale – l’individuo è il protagonista del nostro tempo – e ormai permanente. Uccido la mia donna che non vuole più essere mia, quella singola donna non intercambiabile con altre. Non una generica rappresaglia dunque. Non è la prima volta che succede, nella storia umana, basti pensare al massacro di donne che fu la caccia alle streghe.
Che il tentativo di riprendere il potere degli uomini sulle donne sia parte essenziale dei conflitti in corso, nell’immaginario contemporaneo è ben illustrato dal successo della serie tv “Il racconto dell’ancella”. Il romanzo di Margaret Atwood, da cui è tratto, fu pubblicato nel 1985, nel pieno del primo backlash dopo la forza travolgente del femminismo di terza ondata, come dicono le americane, insomma degli anni Settanta. Il sistema coatto della distopia di Atwood è molto efficace nel mostrare la protervia di chi non rinuncia al proprio potere. E mette sull’avviso, se caso mai ci si fosse illuse che il mondo maschile fosse popolato solo di Mr. Darcy, l’uomo raccontato da Jane Austen che di una donna apprezza l’intelligenza e l’autonomia. Certamente non dava i voti in base all’intelligenza il proprietario di centri estetici che a Monza doveva giudicare le allieve che presso di lui svolgevano il tempo di scuola-lavoro. Favori sessuali, in cambio di buoni voti. L’uomo rischia fino a 12 anni, ora che le ragazze hanno trovato il coraggio di parlare.
Tutto uguale a sempre? La solita vecchia storia delle donne vittime in eterno? Penso proprio di no. E non tanto perché nella cronaca affiorano donne che accoltellano mariti violenti, è successo per esempio il 17 giugno a Trabia, in Sicilia.
Sono segnali da decifrare. Se il patto salta, salta tutto, anche la pretesa debolezza congenita delle donne. Che con loro forza, più che vendicarsi, possono costruire un mondo nuovo, dove non vige la regola del dominio. Le donne, le ragazze ne sono capaci.
FONTE: Bia Sarasini, IL MANIFESTO
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