Banche e utili privati, costi pubblici

Banche e utili privati, costi pubblici

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È ormai da molti anni che si parla con grande frequenza sui vari media delle questioni relative al mondo bancario, in Italia come altrove e si continuerà a farlo ancora a lungo. Nei giorni scorsi Le Monde titolava sconsolato in prima pagina «La finanza mondiale ritorna agli eccessi di prima». Verrebbe quasi voglia di raccomandare ai giovani la carriera di giornalista finanziario, dato che le notizie di cui occuparsi non dovrebbero mancare. Questo se non fosse per il fatto che i giornali sono in crisi da tempo, assumono molto poco e pagano pochissimo.

Negli ultimi due giorni hanno comunque tenuto banco sul tema da una parte la tormentata approvazione almeno alla Camera del testo relativo alla soluzione del caso delle banche venete; dall’altra le nuove proposte che su alcune questioni relative alle crisi bancarie, vengono ora anche da Bruxelles.
Per quanto riguarda il primo punto, ormai tutto sembrava conconcorrere all’approvazione, in fretta e con richiesta della fiducia. Certo si poteva fare molto prima e molto meglio e quella dei salvataggi bancari è stata tra le questioni sulle quali questo governo e quello precedente hanno dato il peggio di sé. Delle soluzioni migliori potevano certamente essere trovate anche con un po’ più di coraggio, come ci ha ricordato più volte negli ultimi giorni Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria del Senato.

Tra le cose che si possono mettere perlomeno in discussione, poi, c’è ancora il fatto che il governo abbia accollato alla collettività tutti i costi dell’operazione e regalato le due banche ripulite a Intesa; a questo punto avremmo ovviamente preferito che i due istituti passassero in mano pubblica, ma, tra l’altro, i riflessi fanaticamente liberisti presenti a Roma come a Bruxelles hanno deciso altrimenti. Si è poi, discutibilmente, scelto di scaricare il danno economico su tutti noi invece che sugli obbligazionisti ordinari, probabilmente per ragioni elettorali. I soliti ottimisti, che abbondano come sempre nel Governo e nei suoi dintorni, promettono che con il tempo (entro 20 anni) l’operazione si potrebbe rivelare «un affare per la casse pubbliche». Tanto tra qualche tempo nessuno si ricorderà più della cosa.
Il sistema bancario nazionale può ora provare a ripartire, apparentemente ripulito dai problemi più gravi che incombevano, almeno nel breve termine.
In particolare la situazione dei crediti deteriorati tende ormai a migliorare sia come fondo che come flussi, anche se la strada da percorrere per tornare alla normalità appare ancora lunga.

Ma la situazione degli istituti nazionali non è comunque certo soddisfacente; negli ultimi cinque anni il sistema non ha prodotto nessun utile di gestione e alcuni dei mali presenti da decenni sono ancora lì, dalla bassa qualità media dell’ organizzazione, alla carenza dei mezzi propri, al più recente ritardo nei processi di digitalizzazione. Vedremo in particolare se il credito alle imprese meritevoli scorrerà ora fluidamente, attività che in passato molti istituti non hanno dimostrato di sapere svolgere molto bene; assisteremo ora ad uno di quei miracoli di cui il paese abbonda?

Non v’è dubbio che a Bruxelles e a Francoforte abbiano accettato solo a denti stretti la soluzione trovata per le banche venete così come per il Monte dei Paschi. Molti vi hanno visto uno stravolgimento delle regole fissate a suo tempo ed approvate anche dall’Italia. In ogni caso sono ora scaturite da tali vicende delle riflessioni in particolare sul come risolvere il problema delle sofferenze bancarie.

Così i ministri delle finanze della Ue hanno appena approvato un progetto che presenta diversi aspetti. Si pensa alla creazione di bad bank nazionali, ciò che appare una dichiarazione di fallimento rispetto all’idea dell’unione bancaria.

Si dovrebbe avanzare su quattro fronti specifici: un rafforzamento della sorveglianza bancaria, che peraltro appare già adeguata, almeno per le grandi banche; lo sviluppo di un mercato secondario per i crediti deteriorati, ciò che dovrebbe rendere più facile la cessione degli stessi, aumentandone anche il valore; una armonizzazione dei diritti fallimentari nazionali, cosa che va sempre bene; delle misure infine per facilitare la ristrutturazione del settore del credito. Il tutto sembrerebbe peraltro soprattutto un’operazione di marketing volta a rassicurare i soliti mercati finanziari che sembrano tutto governare.

FONTE: Vincenzo Comito, IL MANIFESTO



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