Una mail incastra Trump jr: “Felice che la Russia aiuti papà”

by FEDERICO RAMPINI | 12 Luglio 2017 16:25

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Una email inchioda Donald Trump Junior sul Russiagate. E’ la prova che il figlio del presidente in piena campagna elettorale sapeva che il governo di Vladimir Putin stava aiutando suo padre contro Hillary Clinton. E se ne rallegrava. E’ un nuovo stadio, nel crescendo che rende sempre più grave questo scandalo. Si rafforza la possibilità che affiorino prove sul coinvolgimento di Donald Senior, nonché su una sua attiva collusione coi russi che interferivano nella campagna elettorale. In quel caso la materia d’impeachment ci sarebbe, soprattutto se in futuro i democratici dovessero riconquistare la maggioranza al Congresso. Ma anche nel partito repubblicano il disagio è percepibile: ispira una presa di distanza sibillina da parte del vicepresidente Mike Pence. La vicenda si colora di una fauna di loschi personaggi, affaristi russi del sottobosco di Putin, che intrattengono da anni rapporti col clan familiare di Trump. S’infittisce anche la mole delle bugie accumulate dal presidente, oltre che da suo figlio.

L’ultima “bomba” la lancia il New York Times. La situazione precipita nella giornata di ieri. Il quotidiano si appresta a pubblicare l’email galeotta di Donald Junior. Quest’ultimo viene a saperlo perché gli autori dello scoop gli chiedono di commentarlo. Solo a quel punto si affretta lui a rendere noto lo scambio di email «per essere totalmente trasparente».
Si parte dal messaggio di un amico di famiglia, Rob Goldstone, ex giornalista di un tabloid inglese, che da tempo cura alcune connection russe per i Trump. Goldstone scrive a Donald Junior che il procuratore generale della Russia «si offre di fornire all’organizzazione della campagna elettorale di Trump documenti ufficiali e informazioni che possono inguaiare Hillary Clinton e sarebbero ovviamente molto utili a tuo padre». Goldstone sottolinea che è roba «sensibile, di alto livello» e che «fa parte del sostegno del governo russo per Trump». Donald Junior risponde che se il contributo russo è quello descritto da Goldstone «io lo amo, soprattutto a fine estate» (cioè quando si avvicina la scadenza elettorale, ndr). A quel punto i due organizzano una riunione con l’avvocatessa russa Natalia Veselnitskaya: ha robusti agganci col Cremlino, è amica del procuratore generale Yury Chaika nominato da Putin. L’incontro avviene nella Trump Tower. Vengono alla riunione con la Veselnitskaya altri esponenti di massimo livello del clan: il genero Jared Kushner, e quel Paul Manafort che all’epoca è capo dell’organizzazione elettorale. S’incontrano con l’avvocatessa russa al 25esimo piano della Trump Tower cioè, osservano gli autori dello scoop, appena un piano sotto l’ufficio del babbo-candidato.
I particolari di questo scambio di email sono infamanti: ci si avvicina sempre più all’ipotesi di una congiura fra i Trump e Putin, l’intesa fra il candidato e una potenza straniera, un reato contro la Costituzione. Manca ancora l’ultimo tassello, la prova che il padre sapesse e approvasse quelle losche manovre. Ma l’indagine ha ancora tanto lavoro davanti a sé, la Cia e l’Fbi potrebbero riservare altre sorprese, e forse nell’intelligence ci sono le stesse “gole profonde” che stanno centellinando rivelazioni ai giornali. Donald padre lascia passare molte ore prima di commentare le rivelazioni che inchiodano Junior. In serata si decide: «Mio figlio è una persona di alta qualità e applaudo la sua trasparenza». In realtà fino all’ultimo Junior aveva tentato di negare, presentando il meeting con l’avvocatessa russa come una riunione sul problema delle adozioni di orfani russi. Solo l’imminente scoop del New York Times gli ha ispirato la “trasparenza”.
Le email in circolazione da ieri compongono un quadretto di personaggi poco raccomandabili. A pilotare il clan dei Trump verso la Veselnitskaya, ad anticipargli le manovre di diffamazione contro Hillary ordite a Mosca, ci sono un altro padre e figlio sul versante russo. Si tratta degli Agalarov. Il papà, Aras, viene detto “il Trump russo”, è anche lui un palazzinaro, fa parte della cerchia degli intimi di Putin, e aiutò il tycoon americano a portare in tournée in Russia nel 2013 il concorso Miss Universo di cui Trump possedeva il marchio. Il figlio, Emin Agalarov, è una popstar in Russia, anche lui più volte coinvolto da Trump che gli ha regalato un suo cameo in un video.
In questa melma si fa notare il comunicato del vicepresidente Pence. Precisa seccamente di non aver mai saputo nulla di quella riunione fra il clan Trump e l’emissaria russa. Ci tiene inoltre a far notare che tutto ciò accadeva quando Pence non era neppure stato scelto come vice. Va ricordato che in caso d’impeachment è il vice che diventa presidente. C’è anche un’alternativa, il 25esimo emendamento della Costituzione: prevede che sia lo stesso vice ad avviare l’interdizione del suo capo.

Fonte: FEDERICO RAMPINI, LA REPUBBLICA[1]

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