by Daniela Preziosi | 11 Luglio 2017 8:46
Anche il Pd resta muto, la proposta mette nei guai l’esecutivo e il premier Gentiloni
La polemica con Bruxelles era cercata. Ed è arrivata. La minaccia di Matteo Renzi di porre il veto all’introduzione del fiscal compact nei trattati europei, contenuta nel libro «Avanti» (sarà presentato mercoledì), riceve prima l’accoglienza gelida del presidente della Commissione Junker: dal suo entourage viene liquidata come «tattica pre-elettorale». Poi è il presidente dell’eurogruppo Dijsselbloem a bocciare l’idea di mantenere il deficit italiano al 2,9%: «È fuori dalle regole Ue».
Il socialista olandese è quel personaggi che a marzo aveva fatto un’odiosa gaffe continentale accusando i paesi del Sud di «spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto». Così per Renzi la sua obiezione è un assist: il presidente ha «un pregiudizio», «non si rende conto che di fiscal compact e austerity l’Europa muore», replica, con una coda di veleno, «alle sue elezioni ha preso il 5 per cento».
MA A BRUXELLES TIRA UN VENTO gelido sull’ultima sparata renziana. Il commissario economico Moscovici spiega che «l’Italia non può lamentarsi, è stato l’unico paese che ha beneficiato di tutte le flessibilità che offre il Patto». Per la portavoce della commissione Schinas l’istituzione «ha una relazione molto buona» con il premier Gentiloni e il ministro Padoan quindi non commenta «parole di persone al di fuori di questa cerchia». Gli off the record sono più ruvidi: Renzi «ha scritto un libro» e la Commissione non «si fa trascinare» nel dibattito nazionale.
MA L’USCITA DI RENZI fa scendere il freddo anche al Nazareno svuotato dal caldaccio romano. Nel Pd tutti o quasi si tengono alla larga da un tema destinato a creare imbarazzo al governo in carica. Solo il ministro Delrio solidarizza nell’autocritica: «Firmare il fiscal compact e il pareggio di bilancio in Costituzione è stato un grave errore», dice alla Stampa.
Il ministro Padoan apprende della nuova linea di Renzi proprio a Bruxelles, quando sta per entrare nella riunione dell’Eurogruppo. In agenda per la sera ha una cena con il collega falco tedesco Schaeuble e quello francese Le Maire. «Mi sembrano temi per la prossima legislatura», dice ai cronisti. Un mese fa lui ha avanzato una proposta tutta diversa, la correzione del deficit di 0,3 del reddito nazionale, ovvero tagli per 5 miliardi.
TANTO CHE A MEZZO pomeriggio lo stesso Renzi deve chiarire che il ragionamento del ministro è giusto, «si tratta di una proposta di legislatura: non possiamo darla a Paolo e Padoan, il cui governo ha davanti qualche mese». Una cosa del genere «può sostenerla solo un governo che abbia un mandato ampio», spiega a chi gli chiede, per questo era favorevole al voto anticipato, «quello che si riesce a ottenere dall’Europa dipende dalla forza dei leader».
MA LA «FORZA DEI LEADER» dipende anche dalla loro credibilità. Ed è su questo che la proposta di Renzi fa acqua. La «minaccia» non è una novità. Renzi l’aveva già avanzata lo scorso 9 aprile alla Convention per le primarie Pd: «Se vincerò, il Pd proporrà di mettere il veto all’inserimento del fiscal compact nei trattati istitutivi dell’Ue», aveva detto.
PECCATO CHE GIÀ DA TEMPO il Pd votato il primo via libera. Il 16 febbraio infatti il parlamento europeo ha votato due relazioni, una a firma del liberale belga Verhofstadt e un’altra di larga intesa a firma del popolare Brok e della piddina Bresso in cui si chiede, tra l’altro, «l’integrazione del trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria» ovvero il fiscal compact, «nel quadro giuridico dell’Ue». Dal Pd erano arrivati quasi tutti sì, giusto «qualche astenuto. Ma nessun no», aveva denunciato al manifesto l’europarlamentare Sergio Cofferati.
Insomma, la proposta di Renzi è solo propaganda, almeno per ora. Peccato perché sarebbe «interessante», spiega Stefano Fassina (Si) avversario di sempre di Renzi e responsabile economico del Pd di Bersani (ma contrario al fiscal compact dai tempi), anche se «le risorse liberate vengono interamente impegnate a ridurre le tasse». Cosa che non piace a sinistra. È velenosa la polemica fra il presidente Orfini e Bersani. Il primo attacca: «Bersani, che ci fece approvare senza discussione il fiscal compact, oggi dice che siamo di destra perché lo vogliamo superare. Tutto torna». Il secondo: «La differenza tra la sinistra e la destra è che la destra pensa che basti togliere tasse ai ricchi così che la crescita riparta, la sinistra invece pensa che quel che hai, se lo metti in investimenti pubblici e privati, allora potrai dare un po’ di lavoro». E avverte: «Se quest’anno il governo facesse una ricetta del genere non si aspettino che la supportiamo».
FONTE:
IL MANIFESTO[1]Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/07/93247/
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