by Roberto Ciccarelli | 7 Luglio 2017 8:56
Lo sciopero nazionale di quattro ore che ieri ha interrotto la circolazione dei mezzi pubblici a Roma, Torino, Napoli, Modena, Reggio e Piacenza, Trento e Bolzano, nelle ferrovie Appulo-Lucane e, in maniera limitata, in altre città come Milano è stata la reazione dei sindacati di base (Unione sindacale di Base, Sulct, Faisa Confail, Utl, Cambia-menti M410) all’attacco del governo al diritto di sciopero e al progetto di modificare in senso restrittivo la legge sulla rappresentanza nel trasporto pubblico locale.
GLI AUTOFERROTRANVIERI protestano anche contro l’emendamento «Covello», dal nome della deputata che l’ha presentato – Stefania Covello deputata calabrese del Pd – approvato dalla commissione Bilancio della Camera il 27 maggio scorso e oggi parte della «manovrina» imposta dalla Commissione Ue al governo Gentiloni per correggere i «buchi» lasciati dall’esecutivo precedente guidato da Renzi.
L’EMENDAMENTO ha cancellato il Regio Decreto 148 del 1931 che regola i rapporti collettivi di lavoro e il trattamento economico di autisti di bus e tram. Per i sindacati di base, l’abolizione comporta la rimozione dei vincoli che ostacolano i processi di liberalizzazione e privatizzazione del settore e arginavano la precarizzazione del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri. Senza il decreto regio le aziende pubbliche, e anche quelle partecipate che non raggiungono determinati parametri in termini di fatturato e bilanci, potranno essere oggetto di fusioni, chiusure e liquidazioni. Ai loro dipendenti potrà essere applicato il Jobs Act: ovvero potranno essere assunti e licenziati senza articolo 18.
A ROMA la protesta avviene in un contesto politico particolare. Oggi i radicali inizieranno a raccogliere le 29 mila firme necessarie per un referendum al quale i cittadini della Capitale saranno chiamati per decidere se mettere a bando il trasporto pubblico dell’Atac. La sindaca Cinque Stelle Virginia Raggi ha fatto capire che intende riaffidare in house il servizio ad Atac dopo il 2019. Una prospettiva che non soddisfa i radicali che premono, invece, per una gestione imprenditoriale del servizio, giudicata più «efficiente».
LO SCIOPERO DI IERI è stato declinato dagli organizzatori contro questa ipotesi di privatizzazione: «Il trasporto, come la sanità, deve restare pubblico, non ci dev’essere una convenienza ad esercitarlo – sostiene il sindacato Cambia-menti M410 – Se la situazione dei trasporti è drammatica, la loro privatizzazione porterebbe ad una realtà catastrofica».
IN QUESTA SITUAZIONE incandescente per il trasporto pubblico locale sono continuati, copiosi, i tentativi di contrapporre i lavoratori che hanno aderito alla protesta (a Roma Usb ieri parlava del 90% in Atac, Cotral, Roma Tpl e Private) agli utenti danneggiati dall’interruzione del servizio. Un classico neoliberista teso a occultare le ragioni di una protesta che si sono fatte sentire il 16 giugno scorso e ieri sono riemerse. Al governo si impone, a questo punto, la necessità di evitare altri disagi ai cittadini che sostiene di volere tutelare. Se fa sul serio, il ministro dei trasporti Graziano Delrio dovrà continuare a confrontarsi con chi protesta, evitando pericolose discussioni sul diritto allo sciopero, un diritto costituzionale in capo ai lavoratori che scelgono liberamente se e quando protestare, e non proprietà esclusiva dei sindacati che ne raccolgono le istanze. Serve un’azione finalmente responsabile, e non precettazioni. Anche perché la protesta riguarda aspetti non secondari della «Renzinomics» e continuerà, causando nuovi disagi.
SULLA POSSIBILITÀ di rivedere la legge sulla rappresentanza sindacale, intesa dal governo come un modo per impedire ai sindacati ritenuti «poco rappresentativi» di indire scioperi, il dibattito è aperto. Usb, ad esempio, sostiene di essere favorevole ad una nuova legge: «Una legge democratica – precisa Fabrizio Tomaselli dell’Esecutivo nazionale Usb – che permetta a tutti i lavoratori, a livello nazionale, di indicare il proprio consenso ad un sindacato o a un altro. Una consultazione di questo tipo produrrebbe un terremoto sociale e sindacale senza precedenti».
FONTE:
IL MANIFESTO[1]Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/07/93192/
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