by Antonio Sciotto | 4 Luglio 2017 9:21
Campanello d’allarme sull’occupazione: i dati diffusi ieri dall’Istat, e riferiti allo scorso maggio, sono tutti negativi. Certificano – è la critica di opposizioni e Cgil – il fallimento del Jobs Act, tanto più in una fase in cui al contrario il Pil gode di una crescita un po’ più sostenuta. Il tasso di disoccupazione è risalito all’11,3%, in aumento di 0,2 punti percentuali dopo il calo di aprile: è tornato ai livelli del 2012, dopo aver toccato il picco del 13% nel 2014, ancora in piena crisi.
MALE, ANZI MALISSIMO, se guardiamo a una fetta particolare di disoccupati, i giovani: anche in questo caso l’indice Istat è stato impietoso, e in maggio è tornato ad aumentare dopo ben 8 mesi di calo costante: è salito al 37%, con un incremento di 1,8 punti riospetto ad aprile: ci sono cioè, spiega l’istituto di statistica, 25 mila 15-24enni in più in cerca di occupazione.
Giù anche il dato relativo agli occupati, che perdono 0,2 punti da aprile a maggio, pari a 50 mila posti di lavoro in meno (il saldo resta però positivo – +141 mila occupati – se guardiamo alla cifra annuale, cioè rispetto al maggio del 2016). Risultano in aumento rispetto ad aprile solo gli occupati ultracinquantenni e i dipendenti con contratti a termine.
IL TASSO DI OCCUPAZIONE si attesta così al 57,7%, in crescita tendenziale di 0,1 punti percentuali. Rispetto a maggio 2016, la crescita degli occupati, che coinvolge uomini e donne, riguarda i lavoratori dipendenti (+313 mila, di cui +199 mila a termine e +114 mila permanenti), mentre calano gli indipendenti (-172 mila). A crescere sono gli occupati ultracinquantenni (+407 mila) a fronte di un calo nelle altre classi di età. Nello stesso periodo diminuiscono i disoccupati (-1,8%, -55 mila) e i cosiddetti «inattivi» (-0,9%, -129 mila).
Minimizza il ministro Giuliano Poletti, guardando più ai dati sull’anno che non a quelli allarmanti del cambio di mese: «Dopo il forte aumento registrato ad aprile, la diminuzione degli occupati registrata a maggio non muta le tendenze di medio-lungo periodo dell’occupazione che continuano ad evidenziare, sia su base trimestrale che su base annuale, la crescita degli occupati e la diminuzione dei disoccupati», spiega il titolare del Lavoro.
PER TANIA SCACCHETTI, segretaria confederale Cgil, i dati dimostrano al contrario che «occorre cambiare le politiche adottate fino a ora». «Continuano a calare i lavoratori a tempo indeterminato e il lavoro che si crea è precario e a termine, e ne beneficiano in modo particolare gli ultra cinquantenni – prosegue Scacchetti – Drammatica è poi la condizione dei giovani – per i quali servono anzitutto opportunità di lavoro».
Per la segretaria confederale Cgil «è sbagliato riproporre vecchie ricette come quella degli sgravi per le assunzioni dei giovani. Ricette che non hanno determinato gli effetti auspicati, come già accaduto con il Jobs Act. A ciò si aggiunge la preoccupazione che le agevolazioni fiscali possano riguardare il versante contributivo: future pensioni, per i più giovani, povere o poverissime. Occorrerebbero piuttosto forti investimenti pubblici per la crescita e nuova occupazione».
TRANCHANT IL COMMENTO di Susanna Camusso, che ieri ha aperto a Pistoia la 21esima edizione di Cgil Incontri: «Sarebbe da evitare l’oltranzismo di chi dice che ci sono stati risultati straordinari dal Jobs Act».
«Il segnale è che la ripresa è ancora debole e tutta da consolidare – commenta il segretario confederale Cisl Gigi Petteni – Due sono le leve da muovere: un fisco che riduca la pressione sul lavoro e che incentivi il lavoro stabile e interventi di politica economica, in particolare di politica industriale».
BOCCIATURA NETTA anche da parte di Nicola Fratoianni, Sinistra italiana: «Diminuiscono gli occupati, aumenta la disoccupazione. In particolare nella fascia 25-34 anni, per cui si torna al 37% di disoccupazione. Un paio di generazioni cancellate. Visto come funziona alla grande il Jobs Act?».
Per i Cinquestelle «i più penalizzati dalla crisi sono i giovani: bisogna investire su di loro per cambiare subito rotta».
FONTE: Antonio Sciotto, IL MANIFESTO[1]
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