Turchia, una marcia di 480 chilometri per chiedere giustizia
Giunge al suo sedicesimo giorno la «Marcia per la giustizia» voluta dal leader del Partito repubblicano turco (Chp) Kemal Kilicdaroglu, nonostante le temperature estive oltre i 40 gradi.
480 chilometri a piedi per collegare Ankara con la prigione di Maltepe a Istanbul, dove dal 14 giugno scorso è incarcerato Enis Berberoglu.
IL DEPUTATO REPUBBLICANO è accusato di aver inviato al giornale Cuhmuriyet foto che mostrano l’invio di armi turche in Siria attraverso convogli gestiti dai servizi segreti turchi (MIT), fatto a lungo negato dal governo in carica.
Migliaia i partecipanti alla marcia priva di simboli di partiti e gruppi politici, inclusi esponenti di spicco della società civile come l’associazione avvocati di Smirne.
Presente anche il sindacato nazionale dei medici, oltre ai familiari di coloro che hanno perso la vita durante le proteste di parco Gezi nel 2013.
Presenti anche personalità del mondo della politica non appartenenti al Chp come Abdullatif Sener, membro fondatore del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) di Erdogan, accusato di aver politicizzato il sistema giudiziario del paese e di averne distrutto l’indipendenza grazie soprattutto alle purghe avviate dopo il tentato golpe del luglio 2016.
LUNGO IL PERCORSO anche interventi solidali con l’accademica Nuriye Gulmen e l’insegnante Semih Ozakca, in carcere dopo aver protestato contro la perdita del posto di lavoro e ad oggi in sciopero della fame a tempo indefinito. «Con i media completamente sotto il controllo del governo non ci resta che riappropriarci delle strade» ha dichiarato Kilicdaroglu. Tacciono infatti i giornali e le televisioni d’opposizione, sulle cui pagine e canali non compaiono notizie circa la marcia .
Un cammino, quello verso Istanbul, non privo di ostacoli, come le tonnellate di sterco scaricate sulla strada da ignoti cittadini contrari all’iniziativa.
Molto più preoccupante invece il bossolo ritrovato lungo il ciglio della strada nei pressi di Duzce.
KILICDAROGLU ha tenuto a ribadire che «la marcia proseguirà nella gioia e nessuno potrà impedirlo. Siamo pronti a reagire contro ogni repressione e provocazione».
Una circolare regola la partecipazione all’iniziativa, con la richiesta di non replicare alle provocazioni se non applaudendo.
Venticinque i parlamentari Chp che svolgono servizio di sicurezza e controllo, mentre dodici poliziotti in borghese vigilano sulla sicurezza del leader del Chp.
BORDATE CONTRO LA MARCIA sono arrivate invece dal partito di governo Akp, secondo cui il Chp sta soltanto aiutando l’opera sovversiva di Gulen, imam ex alleato di Erdogan e oggi nemico numero uno ritenuto responsabile del tentato golpe.
Il primo ministro Binali Yildirim ha definito la marcia un evento «a cui separatisti e gulenisti stanno applaudendo». Ancor più duro il ministro del commercio Bulent Tufenkci, che secondo Cuhmuriyet avrebbe esplicitamente chiamato i partecipanti alla marcia terroristi, etichetta che oggi in Turchia spalanca le porte del carcere.
LE PAROLE PIÙ PESANTI sono arrivate da Erdogan, secondo cui «i soldati golpisti avevano carri e caccia, Kilicdaroglu ha la sua marcia».
Il presidente insiste sull’illegalità dell’iniziativa e ha avvertito: «Non sorprendetevi se domani verrete chiamati a risponderne in tribunale».
Il partito di sinistra Hdp ha espresso la propria solidarietà alla marcia, nonostante sia stato il più bersagliato tra le sue file dall’ondata di arresti tra parlamentari scattata, ironia della sorte, grazie alla rimozione dell’immunità parlamentare votata anche dal Chp stesso.
L’HDP HA ANCHE INVITATO a proseguire la marcia verso Edirne, dove è detenuto il leader Selahattin Demirtas.
Una proposta che non ha finora scaldato i cuori degli organizzatori, che si sono limitati a dichiarazioni di vicinanza ai parlamentari Hdp incarcerati. Nel frattempo i legali di Berberoglu hanno annunciato di voler presentare appello direttamente alla Corte costituzionale.
FONTE: Dimitri Bettoni, IL MANIFESTO
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