Cuba. Nel dopo-Raúl Castro si delinea un’economia cinese
L’Avana. Cuba resterà socialista e il partito comunista continuerà ad avere il ruolo di «forza superiore della società e dello Stato». Al termine di due giorni di dibattito straordinario dell’Assemblea nazionale del potere popolare (parlamento), giovedì , il presidente Raúl Castro ha messo in chiaro che il cambio generazionale previsto per l’inizio dell’anno prossimo, quando lascerà la presidenza, non comporterà cambi politici e costituzionali. La linea economica e sociale (nel Piano di sviluppo fino al 2030) resterà quella delle riforme per dar vita a «un socialismo prospero e sostenibile» e il Pc resterà il partito unico.
UNA SCELTA POLITICA che, secondo alcuni analisti, guarda esplicitamente al «modello cinese»: introduzione di elementi di mercato ma sotto stretto controllo dello Stato e del partito comunista che ne rappresenta l’unica forza politica.
Anzi, per alcuni versi le scelte socialiste del governo cubano si annunciano più radicali, perchè lo «zar» delle riforme economiche, Murillo, ha ribadito che verrà «regolata» ogni forma di «concentrazione della proprietà e della ricchezza» in modo che «non si contrappongano ai principi del nostro socialismo». Solo su queste basi, ha affermato il presidente Raúl, si potrà «cambiare tutto quello che deve essere cambiato».
IL DIBATTITO DEL PARLAMENTO cubano sul futuro prossimo del Paese è avvenuto dopo una vasta consultazione popolare che ha coinvolto 1.600.000 (in gran parte membri del partito e delle varie organizzazioni di base) ritenuta necessaria sia perché all’inizio del 2018 non vi sarà più un Castro al vertice del governo (così ha dichiarato alla Bbc Mariela, la figlia minore del presidente) sia perché da varie settimane dagli Stati uniti giungono «anticipazioni» sul fatto che il presidente Donald Trump è intenzionato a rivedere la politica di avvicinamento all’isola iniziata da Obama nel dicembre 2014, imponendo nuove restrizioni. Le voci sono state confermate dal portavoce della Casa bianca ed è stato annunciato che le nuove linee guida saranno espresse dal presidente entro giugno, quando Trump farà una visita a Miami, roccaforte dei politici repubblicani e democratici di origine cubana e ostili «alla dittutura dei Castro».
Nel frattempo è trapelato che non verranno interrotte le relazioni diplomatiche ma che verrà posto un divieto di avere rapporti commerciali con le Forze armate cubane (le Far, che controllano quasi l’80% dell’economia dell’isola) e che verranno reintrodotte restrizioni ai viaggi a Cuba dei cittadini statunitensi. Si tratterebbe di misure durissime contro il governo cubano, che attraversa una grave crisi economica, in linea con le dichiarazioni fatte lo scorso mese da Trump che «il popolo cubano merita un governo che sostenga i valori democratici, la libertà economica e religiosa e i diritti umani». Insomma, un ritorno alla politica di governement changing i cui argomenti base erano stati definiti «ridicoli» e pericolosi dal presidente Raúl.
DOPO LA RECENTE decisione di Trump di uscire dagli accordi di Parigi sul cambio climatico e dopo l’evidente porta chiusa in faccia all’Europa, nessuno nell’isola ha dubbi che il capo della Casa bianca faccia sul serio nell’anteporre le «esigenze» di politica interna alle alleanze internazionali. Per questo il linguaggio si è fatto duro anche da parte dei mass media cubani («El portazo de Trump al Acuerdo de París lo aísla del mundo», titolava ieri Juventud rebelde, quotidiano dei giovani comunisti) rompendo una sorta di tregua che era durata fino al mese scorso. Non vi è dubbio dunque che le relazioni si facciano più tese.
Ma in un recente dibattito dedicato ai rapporti dell’isola con gli Usa organizzato da Temas, la rivista considerata liberal, alcuni analisti hanno sostenuto che da entrambe le parti verrà mantenuta una linea pragmatica che potrebbe fare da contrappeso all’indurimento dei toni politici. «Engage Cuba», un’associazione di imprenditori e politici Usa favorevoli al proseguimento della politica di Obama, ha reso noto che una marcia indietro di Trump comporterebbe per l’economia statunitense una perdita sia di 6,5 miliardi di dollari sia di 12.200 posti di lavoro.
INOLTRE, 54 SENATORI la settimana scorsa hanno firmato una proposta di legge che metta fine a tutte le restrizioni dei viaggi a Cuba dei cittadini americani. Voci che difficilmente Trump potrà ignorare. Non solo, nei tagli nel bilancio federale proposti da Trump figurano anche quelli agli «aiuti allo sviluppo » destinati a vari paesi latinoamericani. Nel caso cubano si tratterebbe di un taglio di 20 milioni di dollari (questi i dati del 2016) destinati ufficialmente alla «promozione della democrazia» a Cuba ma che nei fatti, a detta dell’ex ambasciatore Farrar , sono stati impiegati «per mantenere in vita le principali organizzazioni degli oppositori» al governo.
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