Genova. Quando la democrazia fu affidata a criminali di Stato

Genova. Quando la democrazia fu affidata a criminali di Stato

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A Genova la democrazia fu sospesa e messa nelle mani di criminali di Stato. Fu fatta carta straccia della rule of law e dell’habeas corpus. Decine e decine di corpi furono seviziati, massacrati, torturati. Dopo sedici anni arriva finalmente per quarantadue di quei corpi un risarcimento politico, giudiziario, morale, economico. La Corte europea dei diritti umani, nella sentenza resa pubblica ieri, l’ha potuta chiamare tortura. Noi, nelle nostre Corti, non possiamo ancora chiamarla così, perché la tortura in Italia non è codificata come crimine.

Il 26 giugno è la giornata che le Nazioni Unite dedicano alle vittime della tortura. È anche il giorno in cui la Camera dei Deputati inizierà a votare la brutta, pasticciata e intenzionalmente confusa proposta di legge che il Senato ha approvato giusto poche settimane fa, dando cattiva prova di sé. Sono intanto trascorsi sedici anni dalle torture della Diaz e ben ventinove da quando l’Italia ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura che ci obbligava a introdurre nel nostro codice il crimine di tortura. Il tempo passa ma non cambia il modo in cui le istituzioni hanno cercato di non parlare di un delitto che è tanto grave in quanto commesso su persone in stato di soggezione e dalle mani dei servitori della democrazia.

Ancora una volta da Strasburgo arriva un monito a non lasciare impuniti i torturatori sul suolo italico. L’Italia infatti è una sorta di paradiso legale per i torturatori di ogni nazionalità che qui possono sentirsi sicuri e rifugiarsi da accuse e processi nei loro confronti. La sentenza risarcisce le vittime di quello che possiamo chiamare ora a tutti gli effetti un crimine di Stato, sia perché la tortura è nella storia del diritto un reato proprio di agenti dello Stato, sia perché nel caso di Genova i carnefici non sono stati due, tre o quattro ma un plotone intero con tutti i suoi governanti. Basta riguardare la sentenza della Corte di Cassazione del 2012 per leggere i nomi dei dirigenti ad altissimo livello della Polizia che furono condannati a vario titolo, ma nessuno per tortura, perché in Italia non si può condannare per tortura.

La sentenza di Strasburgo restituisce giustizia a chi non vuole che la memoria e la verità siano violentate. Il numero delle vittime e la gravità delle condanne pongono un problema politico, non solo giuridico ed economico come forse in molti al potere vorrebbero far credere, ossessionati dalla paura dei fantasmi di Genova.

Fu Antonio di Pietro, allora capo dell’Idv e ministro delle Infrastrutture, ad affossare la legge che istituiva una Commissione di inchiesta sui fatti di Genova. Una Commissione che ancora oggi sarebbe sacrosanto mettere rapidamente in piedi per fare i nomi e cognomi dei responsabili politici, militari e di Polizia di un piano sistematico criminale.

Come altro definire un piano pensato per commettere crimini contro l’umanità? Nel frattempo impunità e immunità hanno favorito le carriere dei presunti torturatori e dei loro mandanti.

Chiediamo ai governanti dello Stato italiano di oggi di rivalersi contro i responsabili politici e di Polizia di quel 2001, di fare loro causa civile, di istituire per via amministrativa un fondo per le vittime della tortura, di consentire l’identificazione degli appartenenti alle forze dell’ordine. Si può fare subito.

Se dovesse anche questa volta prevalere la melina, l’autodifesa dei vertici, il quieto vivere vorrà dire che la democrazia è ancora sospesa.
Tanti ragazzi che oggi frequentano le Università non sanno cosa è successo a Genova in quel luglio del 2001. Va loro raccontato che lo Stato democratico italiano torturò altri ragazzi come loro. Lo fece perché aveva paura delle loro bandiere della pace.

FONTE: Patrizio Gonnella, IL MANIFESTO



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